Avventi 2.0


AVVENTI 2.0

 

Esiste nella narrativa dell’immaginario una corrente segreta di storie incentrate sulla figura del Salvatore, della sua nascita e del suo arrivo nel mondo. In occasione delle prossime festività, mi sembra interessante segnalare ai lettori alcune delle migliori. Il titolo è abbastanza eloquente ma, prima di iniziare, è bene precisare che nella maggior parte dei casi gli scrittori, soprattutto quelli americani di fantascienza, in genere si dichiarano agnostici, se non apertamente atei; quindi la loro visione della natività e dell’avvento è decisamente poco ortodossa. Non che non esistano tra di loro autori dai saldi principi religiosi, come per esempio: Clive Staples Lewis, Anthony Boucher, Walter M. Miller jr., Anthony Burgess, Gilbert K. Chesterton. Ma sono una minoranza, per quanto famosi e agguerriti. Spero che nessuno si senta offeso nei suoi

sentimenti religiosi. Le idee manifestate dagli scrittori esprimono comunque bene il fascino dell’episodio evangelico, che ancora oggi sa dar vita alla riflessione e all'immaginazione più libera, anche per chi non è credente.

A partire dagli anni Sessanta del secolo appena trascorso, la fantascienza e la narrativa fantastica avevano raggiunto una nuova maturità, anche semplicemente per il fatto che i loro abituali lettori erano cresciuti, non erano più adolescenti pieni di sogni e avevano acquistato maturità e consapevolezza. Nasce da qui l’esigenza di affrontare tematiche complesse come quelle religiose. Un primo esempio da cui partire non può che essere il romanzo “L'uomo che cadde sulla Terra” (The Man Who Fell to Earth, 1963) di Walter Tevis (1928 – 1984). É stato un autore che ha operato sia nel campo della science fiction che fuori da esso e probabilmente tutti lo ricordano per due storie sui professionisti del biliardo, subito trasformate in film: “Lo spaccone” e “Il colore dei soldi”. Può darsi inoltre che gli appassionati di scacchi conoscano il suo romanzo “La regina degli scacchi”, ma dubito che ci sia qualcuno che non abbia visto, o sentito almeno nominare, il film di Nicholas Roeg tratto dal suo romanzo “L’uomo che cadde sulla Terra”, se non altro per la magistrale interpretazione di David Bowie nel ruolo del protagonista.

In un futuro prossimo atterra nel Kentucky un extraterrestre proveniente dal pianeta Anthea. Ha con sé un passaporto inglese falso, che lo identifica come Thomas Jerome Newton. Non viene riconosciuto perchè la sua fisionomia differisce poco da quella degli esseri umani, almeno in apparenza. Ha con sé una gran quantità di anelli d'oro da rivendere in posti diversi. Con i soldi ricavati si presenta a New York, dove fa registrare i brevetti di nove scoperte scientifiche rivoluzionarie nel campo dell'elettronica e della chimica. Provoca così una rivoluzione scientifica e tecnologica e crea un impero economico multinazionale: intende poi varare una nuova divisione aerospaziale e costruire un’astronave (ogni somiglianza con le vicende di Howard Hughes o Elon Musk è puramente casuale). Gradualmente si scopre che proviene da un altro pianeta del sistema solare, devastato da una serie di guerre nucleari e ridotto a un deserto senza vita; inoltre ha le ossa fragili perché gli antheani vivono a una gravità che è un terzo di quella terrestre. Questi dettagli fanno supporre al lettore che possa trattarsi del pianeta Marte, così come lo aveva già descritto Wells ne “La guerra dei mondi”. A questo punto arrivano gli agenti della CIA, che arrestano Newton per immigrazione illegale: il suo segretario personale è infatti da sempre un infiltrato del controspionaggio. L’alieno viene trattenuto per alcune settimane e sottoposto a indagini scientifiche, che somigliano a delle torture: sono infatti assai dolorose poiché gli anestetici non hanno effetto sul suo metabolismo. Inoltre un maldestro esame medico lo rende quasi completamente cieco. Alla fine viene rilasciato, ma ormai la sua missione è naufragata e la costruzione dell'astronave per salvare gli ultimi antheani è inutile. L'extraterrestre si rifugia nell’alcool per combattere la disperazione e finirà i suoi giorni così, mentre il suo popolo si estinguerà. La trama del romanzo è semplice, lineare, priva di sperimentazioni e di colpi di scena, come nelle tragedie classiche. La lettura “cristologica” fu avanzata già da Fruttero & Lucentini con la prima pubblicazione su Urania: la tragedia di Thomas Jerome Newton è evidentemente una parabola con risonanze evangeliche. Tevis ci racconta una seconda discesa sulla Terra, seguita dal tradimento e dal martirio.

Un altro classico della fantascienza su questo tema appartiene a uno scrittore della vecchia guardia (si fa per dire: intendo vecchia solo per motivi anagrafici). Sto parlando di Robert A. Heinlein (1907 – 1988) e del suo romanzo “Straniero in terra straniera (Stranger in a Strange Land, 1961). Il romanzo narra la storia di Valentine Michael Smith, figlio orfano di due astronauti, rimasto su Marte e allevato dai marziani. Terminata l'adolescenza, ritorna sulla Terra e la storia ci descrive il tentativo di adattamento del giovane agli esseri umani e alla loro cultura, descritta come consumistica, priva di valori e guidata dall’onnipotenza dei media. Nel corso della storia Heinlein usa l’apertura mentale di Smith per criticare alcuni fondamenti della nostra cultura come il denaro, la monogamia e la paura della morte. Smith ben presto viene ricoverato in un ospedale dal governo (a tutti gli effetti è imprigionato, perché il governo federale non si fida di lui). Fuggito dall'ospedale, si nasconde da Jubal Harshaw, un milionario eccentrico e scrittore, che tenta di spiegare al ragazzo come ragionano i terrestri e come funzionano le cose sulla Terra: a causa della sua educazione su un pianeta diverso, molti concetti umani come la guerra, l’egoismo e la gelosia gli sono estranei. Incomincia a comprendere qualcosa di più quando scopre l’umorismo e i suoi significati profondi. Decide alla fine di fondare una sua chiesa (la “Chiesa di Tutti i Mondi”) con lo scopo d’insegnare il linguaggio marziano e la disciplina interiore, oltre a creare legami spirituali e sessuali tra le tutte persone, in base al concetto che “tutti sono Dio” e che dovrebbero amarsi gli uni con gli altri. Come se non bastasse, sfida i valori tradizionali come la monogamia e la proprietà privata e incolpa dei problemi del mondo il rifiuto delle persone di amarsi a vicenda. Per esempio, la sua versione del Sesto Comandamento è la seguente: “Non devi desiderare mia moglie: amala” (RAH). Un bel guazzabuglio di eresie, non c’è che dire. La sua chiesa comincia a ottenere un piccolo seguito, ma viene assediata e infine distrutta da una folla inferocita, che circonda Smith. Il giovane si offre spontaneamente, ben conscio di ciò che sta per accadere, e accetta di essere lapidato a morte per i suoi insegnamenti. Ma poiché, secondo la sua dottrina, tutti possiamo diventare immortali, Valentine Michael Smith risorgerà. Solamente, da qualche altra parte. Molto più provocatorio e scorretto di Tevis, Heinlein ne ripete però lo schema: seconda discesa sulla Terra, eresia, tradimento e martirio.

Un altro esempio ci viene da Fritz Reuter Leiber (1910 – 1992), altro scrittore della prima ora, che ha iniziato la carriera come seguace e corrispondente di H. P. Lovecraft, ma ha poi proseguito la carriera fino a tarda età, con lavori di fantascienza e del fantastico sempre originali e al passo con i tempi. Nel suo racconto “Storia del capitano e del compagno” (One Station of the Way, 1968) ci mostra un’astronave che atterra su un lontano pianeta, nascondendosi alla vista degli indigeni con un dispositivo di occultamento. Ne scendono due ufficiali, chiamati genericamente Il Capitano e Il Primo Compagno, con il compito di contattare in segreto gli abitanti. Con pochi cambiamenti potrebbe sembrare un episodio di Star Trek, se non fosse per lo scopo che il Capitano si prefigge: fecondare artificialmente una femmina della razza indigena mediante un embrione geneticamente modificato, da cui dovrebbe nascere un nuovo grande profeta. Il primo ufficiale non è assolutamente d’accordo con questa pratica e ne discute a lungo con il suo superiore. Il dialogo tra i due alieni prende l’aspetto di un dibattito etico / filosofico, come nell’usanza medievale del masque: una recita teatrale ridanciana ma dai contenuti morali, che sovente metteva in scena un angelo e un diavolo pronti a contendersi l’anima di un uomo. Con pochi cambiamenti, avrebbe potuto mettere in scena il dialogo Dario Fo. Qui si palesa l’esperienza teatrale di Leiber, figlio di attori scespiriani e attore lui stesso. Il racconto si conclude in maniera interlocutoria: fornire agli abitanti del pianeta un nuovo messia migliorerà la loro civiltà e le loro condizioni di vita, oppure sarà un’altra tragedia che si estenderà per secoli, come già accaduto su altri mondi?

In questo contesto non poteva mancare Philip J. Farmer, tra gli scrittori uno dei più iconoclasti, provocatori e anticlericali. Nelle sue opere ci ha proposto più volte le sue riflessioni personali sulla figura di Cristo, ma la migliore è forse “Cristo Marziano” (Jesus on Mars, 1979). Qui si racconta di una spedizione internazionale sul pianeta Marte, che scopre un grande insediamento nel sottosuolo, popolato da esseri umani e da alieni giunti dallo spazio interstellare: i Krish. I quattro esploratori vengono soccorsi ed ospitati, scoprendo la cultura e le usanze di quella che sembra un’utopia retta dai principi di una nuova religione, commistione di Cristianesimo ed Ebraismo. Si scopre che i Krish avevano visitato la Terra all’epoca della nascita del cristianesimo, accogliendo nella loro astronave alcuni esseri umani, tra i quali l’apostolo Mattia. Naufragati su Marte a causa di un incidente, avrebbero poi fondato la colonia sotterranea. Ma poi apparve tra di loro il Nazareno, in un nuovo avvento, dichiarando d’essere il Messia atteso dagli Ebrei e dai Cristiani. Ovviamente, dato che Farmer è Farmer, non tutto quello che Yehoshua (è la versione ebraica del suo nome, che i latino hanno poi storpiato non riuscendo a pronunciarlo correttamente) dice agli astronauti corrisponde a quello che ci è stato tramandato. Anzi. Dei quattro esploratori terrestri, uno è ebreo, uno mussulmano e uno cristiano metodista, mentre la donna si dichiara atea: ma nessuno dei quattro è soddisfatto delle rivelazione del Nazareno, dato che non corrispondono a quello che era stato loro insegnato.

Nel periodo tra gli anni Sessanta e Settanta ci sono molti altri lavori di fantasia che si potrebbero includere in questo elenco, come quelli di Lester Del Rey, ma non li trovo altrettanto significativi. Tenderei inoltre a escludere il ciclo di Dune di Frank Herbert, perché i suoi contenuti mitologici e messianici alludono più alla vicenda di Maometto che a quella di Cristo. Più recentemente, gli scrittori hanno cominciato a pensare a nuove versioni alternative dell’avvento, più al passo coi tempi e meno “tradizionali”. Molto interessante è, per esempio, il racconto dell’inglese Edward Bryant (1945 – 2017). Il bambino che nasce in “Occhi di onice” (Eyes of onyx, 1971) è figlio di gente di colore e nasce in uno dei grandi ghetti urbani dell’America di oggi. Mostra subito di avere grandi poteri, ma li userà per il bene come il suo predecessore? Considerato il razzismo e l’emarginazione in cui è destinato a crescere, c’è da dubitarne. Succede qualcosa di simile anche in un brevissimo racconto dell’americano William “Bill” Rotsler (1926 – 1997). In una corsia di un ospedale per indigenti, nasce una bimba di colore dagli enormi poteri mentali. Appena nata, è già in grado di fare del male a chi la circonda, ma si tranquillizza grazie all’affetto e alla dedizione che le dimostra il medico del pronto soccorso, che ha assistito al parto. Basterà questo a guidare la bambina verso il bene altrui, quando crescerà in un ghetto? Il racconto “Bohassia impara” (Bohassia learns, 1971) non offre una risposta. Non potrebbe. Entrambe le storie spingono il lettore a trovare la propria. L’idea che il prossimo messia possa non essere di pelle chiara è, ovviamente, provocatoria, ma non è la più estrema. E se la prossima volta nascesse una donna? Questo sì che sconvolgerebbe le nostre convinzioni più radicate.

Oltre a Rotsler, se lo è chiesto anche James Morrow (Philadelphia, 1947) che ha sviluppato il concetto in un romanzo dal titolo “Nel nome della figlia” (Only begotten daughter, 1990). Morrow, anticlericale convinto, racconta le vicende di Julie Katz, il nuovo Messia. La ragazza viene concepita da suo padre Murray Katz senza l’intervento di una donna, grazie a una donazione nella banca del seme: si tratta di un processo chiamato “partenogenesi inversa” (tranquilli, in natura non esiste nulla del genere). Resasi conto di essere la figlia di Dio, Julie lotta con i suoi poteri messianici (che non desidera) e con i giochi mentali di Satana (che la tormenta e la tenta in segreto), mentre subisce una caccia spietata da parte dei fondamentalisti religiosi. Ma ciò che più la inquieta è il silenzio di sua madre (cioè Dio). In pratica, anche Julie a un certo punto si trova a chiedere, come Gesù: perché mi hai abbandonato? Confesso di aver trovato anche io questa provocazione un po’ eccessiva, pur essendo abituato a leggere queste cose, ma va ricordato che Morrow fa volutamente uso di affermazioni delle rappresentati più radicali del movimento femminista negli stessi anni. Sono le femministe americane ad aver più volte suggerito che il Principio Creatore debba essere considerato Madre e non Padre. Senza contare che il cardinal Albino Luciani, nel suo brevissimo pontificato come Giovanni Paolo I°, ha affermato pubblicamente che “Dio è padre, ma anche madre”.

Il tema di un nuovo avvento è così affascinante, per alcuni scrittori, che ha spinto ad affrontarlo anche gli autori del mainstream. Gore Vidal ci è ritornato sopra ben due volte. Il primo caso è “Messiah” un romanzo satirico, pubblicato per la prima volta nel 1954 negli Stati Uniti e rimasto inedito in Italia, nonostante la fama dell’autore, per motivi abbastanza ovvi. È la storia della creazione di una nuova religione, il cavismo, che riesce a sostituire rapidamente la religione cristiana oramai in declino. Il suo fondatore John Cave viene ucciso dai suoi stessi seguaci, quando si dimostra scomodo per lo sviluppo della nuova religione. Alla fine il suo nome è addirittura rimosso dalle “Scritture Caviste”, che lui stesso aveva composto. Inoltre, nel romanzo compare una donna Cavista di nome Iris, che diventa un leader e si accredita come una nuova manifestazione dell'antica Dea Madre, che in precedenza si era manifestata come Iside, Astarte, la Vergine Maria e altre.

Non contento, Vidal pubblica nel 1992 “In diretta dal Golgota” (Live from Golgotha), nel quale la possibilità di riprendere gli avvenimenti del passato finisce per trasformare la crocifissione in una sorta di reality televisivo odierno. In questo romanzo, però, il bersaglio della satira non è tanto la religione quanto la nostra società consumistica e la civiltà dell’immagine. E in quegli anni non c’erano ancora internet e i social network!

L’ultimo e più recente esempio ci viene da un nuovo autore inglese dalla forte vena satirica: John Niven. Nel suo romanzo “A volte ritorno” (The second coming, 2011 ) lo scrittore usa volutamente un tono ricco di battute micidiali e di dialoghi frizzanti, a metà tra Woody Allen e Douglas Adams, con l’aggiunta di una bella dose di Robert Sheckley. Ci sono situazioni divertenti ma mai eccessive, anche nelle situazioni critiche e dolorose. L’inizio è davvero esilarante: dopo una vacanza di una settimana (ma per noi sono circa cinque secoli) Dio è tornato in ufficio, in Paradiso. Per prima cosa, come ogni dirigente d’azienda che si rispetti, chiede al suo staff un briefing sugli ultimi avvenimenti. Ne riceve un quadro totalmente catastrofico: preti che molestano i bambini, guerre da ogni parte, enormi quantità di cibo e risorse sprecati, mentre intere popolazioni muoiono di fame... Dio si vede costretto a rimandare giù il figlio per dare una sistemata. Ma costui obietta: “Sei sicuro sia una buona idea? Non ti ricordi cosa è successo l'altra volta?” Ma Dio è irremovibile. Così JC giunge sulla Terra a New York e cerca, come può, di dare una mano. Poiché il ragazzo non sa fare niente, eccetto suonare la chitarra, finisce in un programma di talenti alla tv. Tutto sommato sarebbe un gran bel modo per fare arrivare il suo messaggio a un sacco di gente, ma anche oggi, come già in passato, chi sta dalla parte degli emarginati non è propriamente ben visto dalle autorità e dai poteri forti: gliene capiteranno di tutti i colori.

Ma non possiamo concludere così, senza nemmeno una luce di speranza. Allora ci può venire in aiuto il romanzo di James Blish “Le mappe del cielo” (And All the Stars a Stage, 1971). Vero maestro della fantascienza, profondo cultore di poesia e religione anche se non credente, Blish (1921 – 1975) ci racconta di un futuro lontano, in cui un gruppo di astronavi percorre i grandi spazi della Galassia, in una disperata peregrinazione cosmica, nella speranza di trovare un mondo accettabile dove impiantare la vita, che nel pianeta d’origine si sta per estinguere. Fra molti dubbi e poche certezze, fra stelle maligne e mondi impossibili, la missione si conclude quando alla fine un’astronave scende sulla sabbia rovente di un deserto sconosciuto, sotto un nuovo sole e un cielo azzurro. E qui una coppia di indigeni, guidati da una stella così luminosa da essere visibile in pieno giorno, darà vita a un figlio venuto dal cielo, che porterà speranza nel futuro.


Franco Piccinini (Asti, 1954), si è laureato a Pavia e fino a poco tempo fa ha esercitato la professione di medico. Grande esperto e cultore di fantascienza, ha pubblicato i romanzi "Ritorno a Liberia" (tratto dal suo primo racconto), "Il tempo è come un fiume", il saggio "Scienza medica e fantasie scientifiche" (finalista al Premio Italia 2012 e vincitore del Premio Vegetti 2018), oltre a vari articoli su Nova SF* e racconti su Futuro Europa. Di recente ha pubblicato il saggio "Mondi Sotterranei" per i 700 anni di Dante. Nel 2011 ha iniziato a collaborare con l'editore Solfanelli e con Delos Digital. E' un grande amico della Biblioteca Bonetta e ha precedentemente scritto per il nostro sito anche i seguenti contributi:

 

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