Il tempo, i quanti e le isole nordiche: due saggi di Carlo Rovelli


Scusate, ma questa volta si va un po’ a scuola.

Io faccio letture di ogni tipo, ma chi mi segue sa che amo in modo particolare la fantascienza e la divulgazione scientifica. In quest’ottica mi premeva di fare conoscere le opere di un fisico teorico italiano di nome Carlo Rovelli, che ha ormai ottenuto una notevole fama grazie alle sue lezioni sulla fisica. Prometto che la prossima volta mi occuperò di letture più amene e di parlare di narrativa e non di divulgazione. Ma visto che nel 2021 il premio Nobel per la fisica è stato attribuito a un italiano, il professor Giorgio Parisi, mi sembra giusto suggerire qualche lettura per affrontare l’argomento. Cominciamo intanto con l’elogiare l’editore Adelphi, che ci ha offerto, nel corso degli anni, una nutrita serie di ottimi saggi e testi di divulgazione scientifica. Adelphi ha perso purtroppo di recente uno dei suoi fondatori: Roberto Calasso, letterato, scrittore, bibliofilo, editore di grande sensibilità e cultura. Nel catalogo Adelphi potete trovare molti testi scientifici, alcuni dei quali già da me trattati, come quelli sui casi clinici del grande medico neurologo Oliver Sacks (Risvegli, L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello, Emicrania, Un antropologo su Marte, eccetera) oppure come le inchieste giornalistiche di David Quammen sulla biologia, l’ecologia e l’evoluzione (Spillover, L’albero intricato). Questa volta parliamo di Carlo Rovelli, membro dello Institut universitaire de France e della Académie internationale de philosophie des sciences, nonché responsabile della Equipe de gravite quantique del Centre de physique théorique all'Università di Aix-Marseille. Ha pubblicato numerosi testi divulgativi, tra i quali, presso Adelphi, Sette brevi lezioni di fisica (2014), L’ordine del tempo (2017) e il recente Helgoland (2020), titoli tradotti ormai in molti paesi. Diciamo subito una cosa: quando ha dovuto parlare di fronte alle telecamere, in qualche trasmissione televisiva, non ci ha fatto una gran figura. Sicuramente non è così davanti ai suoi studenti nelle aule universitarie e, in ogni caso, è bravissimo invece a usare la parola scritta. Anche ammesso che riceva aiuto a livello redazionale, bisogna ammettere, dopo il successo internazionale di una mezza dozzina di libri, che è uno che sa scrivere e che sa rendere affascinanti argomenti di per sé difficili. Per esempio, sta attento a usare grafici, diagrammi e disegni, ma non equazioni, che risulterebbero incomprensibili ai più e farebbero allontanare buona parte del pubblico.

In “L’ordine del tempo“ affronta l’argomento di un elemento della fisica quantistica che in realtà coinvolge chiunque, essendo qualcosa di cui ciascuno di noi ha esperienza in ogni istante: il tempo. Ciò che rende appassionante la sua trattazione è che il tempo è un mistero non solo per le persone comuni, ma anche per i fisici. Col procedere delle ricerche, il concetto stesso di tempo si è trasformato profondamente, da Newton a Einstein, da Schroedinger a Heisenberg, fino a Kip Thorne e Stephen Hawking. Si è passati dalla fisica classica di Newton alla teoria della relatività e alla meccanica quantistica, fino a giungere a teorie che rasentano la metafisica, come quella recente sulla gravità “a loop”, di cui Rovelli stesso è uno dei principali teorici. Nelle equazioni fondamentali della fisica delle particelle il tempo semplicemente sparisce. La sequenza passato/presente/futuro perde di significato e passato e futuro non si oppongono più (come a lungo filosofi e scienziati hanno pensato). Così che a sparire, alla fine, è il concetto stesso di tempo presente. Servendosi di questo filo conduttore, Rovelli ci guida in un percorso che parte da ciò che la fisica è stata in passato e ci conduce nei luoghi dove oggi la fisica si sta evolvendo.

Su questo fatto mi è tornato alla mente un episodio, che vi racconto. Un giorno una signora americana volle assistere a una lezione di Einstein, che era ormai divenuto una star. Raccontò alle amiche così: “nei primi minuti tutto era chiaro, poi solo gli studenti più intelligenti capivano qualcosa di quelle equazioni, verso la fine solo Einstein e Dio; alla fine, solo Dio!”. Ecco, non spaventatevi, con questo libro non sarà così. Per quanto non riesca a giungere alla chiarezza espositiva di un Isaac Asimov, di un Roberto Vacca o di un Piero Angela, Rovelli sa farsi leggere con piacere anche dai non addetti ai lavori.

Se poi non vi sentiste a vostro agio, potete sempre cominciare a conoscere l’autore partendo dal suo ultimo libro: “Helgoland”, più biografico e discorsivo, anche se altrettanto scientifico. Il nome è quello di una spoglia isola rocciosa nel Mare del Nord, il cui approdo è sorprendentemente simile alla misteriosa isola raffigurata più volte dal pittore Arnold Boecklin: L’Isola dei Morti (Die Totenisel). È anche un luogo dei miti norreni, un’isola sacra in cui forse stazionarono gli ultimi abitanti di Hyperborea. Dunque un posto ideale per sviluppare idee estreme. Qui nel giugno 1925 il ventitreenne Werner Heisenberg (1901 – 1976) ha avviato la più radicale rivoluzione scientifica di ogni tempo: la fisica quantistica. La teoria dei quanti si è rivelata sempre più piena di idee sconcertanti e inquietanti, che contraddicono la logica aristotelica e newtoniana ma che col tempo hanno ricevuto innumerevoli conferme sperimentali, tali da portare a ogni sorta di applicazioni tecnologiche. Si può dire che oggi la nostra comprensione del mondo si regga su tale teoria, tuttora profondamente misteriosa. Ricordo qui ciò che affermava il noto scrittore e astronomo Arthur C. Clarke (1917 – 2008). Sono tre adagi noti come “leggi di Clarke” (per somiglianza con le tre leggi della robotica di Asimov).

  1. «Quando un illustre ma anziano scienziato sostiene che qualcosa è possibile, ha quasi certamente ragione. Quando sostiene che qualcosa è impossibile, ha quasi certamente torto.»

  2. «L'unica maniera per scoprire i limiti del possibile è avventurarsi un poco al di là di essi, nell'impossibile.»

  3. «Qualunque tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia.»

In questo libro si parte dalla biografia di questo giovane introverso, abilmente raccontata come se fosse un romanzo di formazione, un bildungsroman (siamo o no in Germania?), poi si passa attraverso la sua rivalità intellettuale con altri giganti della fisica (come Einstein, Schroedinger e Bohr) e così si ricostruisce l’avventurosa e controversa crescita della teoria dei quanti. Si apre un mondo dove la sostanza sparisce, dove il vuoto è maggiore del pieno e le prospettive si capovolgono come in un quadro di Escher. Restano solo le interrelazioni. Il concetto principale di Werner Heisenberg è noto come “principio di indeterminazione”. È un postulato della meccanica quantistica secondo cui, nel processo di misurazione di alcuni fenomeni fisici, è impossibile conoscere i dettagli di un sistema senza perturbarlo, rendendo inutile la misurazione. E poiché il principio esprime l’impossibilità di determinare con precisione a priori i valori di due variabili tra loro incompatibili, l’osservatore dovrà scegliere quale misura privilegiare e disporre di conseguenza gli strumenti di misura. Detto così è astruso, d’accordo. Ma questa è la parte fisica vera e propria. Provate a vederla sotto l’aspetto filosofico: tutto diventa relativo, non c’è più nulla di certo. Più studiamo una cosa e più sfugge sotto i nostri occhi. Per comprendere questo aspetto può essere di aiuto un altro notevole testo divulgativo, pubblicato sempre da Adelphi, dal titolo emblematico: “Quando abbiamo smesso di capire il mondo” (Un verdor terrible, 2020) dello scrittore cileno Benjamin Labatut, che non è propriamente uno scienziato, ma si occupa di filosofia della scienza, oltre che di storia e di politica.

Pensate ora alle implicazioni letterarie.

Lo ha capito bene Marco Paolini, che nel suo one - man - show “Miserabili - Io e Margaret Thatcher” (mirabile esempio di teatro civile, come non se fa quasi più) coinvolge gli spettatori citan­do il principio di indetermina­zione di Heisenberg e chieden­do loro cosa siano l’en­tropia e i principi della termodinamica. Non lo fa per intimorirli o farli vergognare della loro ignoranza, ma per dimostrare quanto quegli scienziati, che sembrano così lontani dalla realtà quotidiana, abbiano invece profondamente influenzato il mondo moderno. Tanto da essere ritornato sugli stessi argomenti con il nuovo spettacolo “Le avventure di Numero Primo”, nel quale Paolini tenta di chiarire che cosa avvenne nel lontano 1941 a Copenaghen, quando improvvisamente Heisenberg (interpretato da Massimo Popolizio) fece visita al suo maestro Niels Bohr, in una Danimarca occupata dai nazisti. Già allora era in atto una gara segreta tra nazisti e americani per sviluppare armi atomiche, gara di cui ancora non conosciamo bene i contorni, ma che probabilmente si lega anche alla scomparsa di Ettore Majorana, oltre alla fuga in Russia di Pontecorvo e in America di Fermi e tanti altri. Nel libro “Helgoland”, oltre a tante spiegazioni sugli sviluppi di questa scienza che ormai rasenta la magia, troverete anche molti episodi biografici che faranno conoscere più da vicino questi personaggi. Per coloro che, dopo la full immersion nella fisica teorica, volessero rilassarsi con un lettura più leggera, suggerisco di procurarsi “Sporco baratto” (The Rhinemann Exchange, 1974) di Robert Ludlum, grande esperto di storie di spionaggio. La trama: a Peenemunde, Norvegia, nel settembre 1943 una crisi minacciava il Terzo Reich, poiché la scorta dei diamanti industriali stava per terminare e, con essi, la produzione dei razzi. Ma solo gli Alleati disponevano di diamanti industriali. Intanto a Washington l'industria aeronautica americana non riusciva a mettere a punto un sistema di guida per i bombardieri ad alta quota. Invece a Peenemunde gli scienziati tedeschi ci stavano riuscendo. Ad altissimo livello si fa strada l’idea di uno scambio fra i due paesi (ovviamente condotto con la massima segretezza). La sede scelta per lo sporco baratto è Buenos Aires (dove dopo la guerra si rifugiò la maggior parte dei gerarchi nazisti in fuga). Ma fortunatamente qualcuno che sa cerca di impedire che lo scambio abbia luogo. Vi sembrano tutte invenzioni? Non è proprio così. Fatti simili sono accaduti davvero e non se ne parla per un comprensibile senso di vergogna. Tenete presente che c’erano molti simpatizzanti del nazionalsocialismo nelle alte gerarchie militari e politiche degli Stati Uniti e che ci furono fino al 1942 molti scambi industriali mediante “triangolazioni” con paesi neutrali del terzo mondo, coinvolgendo Ford, General Motors, Bell e IBM. Su quest’ultimo aspetto, potete andare a leggere i romanzi di fantapolitica “Il complotto contro l’America” (The plot against America, 2004) di Philip Roth e “Il processo n°13” (2018) di Pierfrancesco Prosperi. Ne scoprirete delle belle. Avreste mai immaginato che l’eroe dell’aviazione Charles Lindberg fosse antisemita? E che Henry Ford III avesse fatto tradurre e stampare a proprie spese il clamoroso falso “I protocolli degli anziani di Zion”? Sapevate che la GM forniva camion militari alla Wermacht? E che la IBM fornì le schede perforate usate per catalogare gli ebrei destinati ai campi di concentramento?

Ma anche se restiamo all’interno della fisica dei quanti, le implicazioni letterarie sono numerose.

Lo scrittore americano Frank Herbert, oggi tornato di moda grazie al perdurante successo di “Dune”, ha scritto un romanzo intitolato proprio “Gli occhi di Heisenberg” (The eyes of Heisenberg, 1966). Il titolo fra ovviamente riferimento al principio di indeterminazione. Infatti la trama si svolge in un futuro dominato da un gruppo di immortali, che però si accorgono di non riuscire più a rimanere tali, perché le loro cellule decadono, invecchiano e muoiono, nonostante tutti gli accorgimenti dell’avanzatissima medicina futura. Il fatto è che non si può ingannare la legge dell’entropia: il disordine molecolare tende sempre al massimo e non è arrestabile. Il caos entropico alla fine regnerà sovrano. E interferire con l’attività delle molecole organiche implica modifiche non prevedibili. Ed ecco Heisenberg all’opera.

Un’altra implicazione della meccanica quantistica, ben illustrata da Rovelli, è il cosiddetto paradosso del gatto di Scroedinger. Nella fantascienza conosco almeno una mezza dozzina di racconti dal titolo “Schroedinger’s cat”, che esplorano le implicazioni di questo concetto matematico. Si va da Ursula K. Le Guin a George Alec Effinger, fino a Lukha B. Kremo, italianissimo nonostante lo pseudonimo. Il fisico austriaco Schroedinger diceva che se si prende un gatto e lo si chiude in una scatola di metallo insieme a una fiala di cianuro, e questa fiala di cianuro può rompersi o non rompersi in base allo stato di una determinata particella, siccome per la fisica quantistica le particelle stanno in più stati contemporaneamente, dopo un po’, a meno che si apra la scatola e si guardi dentro (cioè a meno che non si compia una osservazione) il gatto, dal punto di vista matematico, è sia morto che vivo. Non sto dicendo che non sappiamo se è morto o vivo, secondo le equazioni di Schrödinger è proprio morto e vivo contemporaneamente. D’accordo, cianuro o no, non è bello chiudere un gatto sotto una scatola di metallo. E quando solleveremo la scatola il micio sarà piuttosto arrabbiato. Ma tralasciamo per un attimo le implicazioni animaliste. Il punto è che si fatica a digerire il concetto: lo stesso gatto contemporaneamente morto e vivo non si riesce a visualizzarlo (e no, gli zombi non c’entrano per nulla). È divertente notare che Schrödinger aveva ideato il suo paradosso per confutare le idee di Heisenberg, mentre in realtà ha finito per essere usato proprio per dimostrarle. Certo il tema è, letterariamente parlando, molto stimolante.

Per concludere, parliamo per un attimo di Stanislaw Lem. Medico, scienziato e scrittore di livello internazionale, ha spesso usato le sue storie per sottolineare i limiti che la conoscenza umana può raggiungere (anche se non arriva ad affermare, come certo cattolicesimo polacco, che la conoscenza secolare non sostenuta dalla fede sia in se stessa un male). Nel suo romanzo più famoso “Solaris” (1961), c’è una scena in cui il protagonista Kris Kelvin studia una goccia di sangue all’ultramicroscopio (pag. 143 dell’edizione integrale di Sellerio). Ingrandisce l’immagine sempre di più, fino ad arrivare alle componenti delle molecole: gli atomi. Ma poi l’immagine diventa illeggibile. È un perfetto esempio di come l’osservatore influenza la cosa osservata. Di nuovo Heisenberg all’opera, insomma.

E tutte queste riflessioni letterarie sono partite dalle “strane” idee di gente come Bohr, Heisenberg, Schoredinger, Fermi e Majorana. Non vi viene voglia di saperne un po’ di più? I libri di Carlo Rovelli sono l’occasione giusta.

Franco Piccinini, maggio 2022


Franco Piccinini (Asti, 1954), si è laureato a Pavia e fino a poco tempo fa ha esercitato la professione di medico. Grande esperto e cultore di fantascienza, ha pubblicato i romanzi "Ritorno a Liberia" (tratto dal suo primo racconto), "Il tempo è come un fiume", il saggio "Scienza medica e fantasie scientifiche" (finalista al Premio Italia 2012 e vincitore del Premio Vegetti 2018), oltre a vari articoli su Nova SF* e racconti su Futuro Europa. Di recente ha pubblicato il saggio "Mondi Sotterranei" per i 700 anni di Dante. Nel 2011 ha iniziato a collaborare con l'editore Solfanelli e con Delos Digital. E' un grande amico della Biblioteca Bonetta e ha precedentemente scritto per il nostro sito anche i seguenti contributi:

 

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