Franco Piccinini, La versione di Denis


 

Prima di riprendere a parlare di Dune, sia libro che film, ho voluto aspettare che uscisse il film della seconda parte del lungo e complesso lavoro di Denis Villeneuve, in modo da avere una visione d’insieme del risultato finale. Quando questo regista ha accettato di girare il remake di Dune, infatti, molti si erano mostrati perplessi, data la difficoltà dell’operazione. Il film di David Lynch, nonostante la bellezza della realizzazione, non aveva soddisfatto la critica ed era stato massacrato dalla produzione: si è salvato alla fine (anche economicamente) grazie al mercato del home video. Adesso è considerato un cult movie, con cui è difficile confrontarsi. Troverete una descrizione accurata della sua travagliata realizzazione a questo link di Bonetta Book:

http://biblioteche.comune.pv.it/site/home/news/il-ritorno-di-dune.html

Ora che la seconda parte è uscita nelle sale possiamo dire che l’operazione è riuscita e il risultato è brillante. Villeneuve non è un regista giovane e inesperto: ha già diretto parecchi film, da quelli più ricchi di sentimenti a quelli di azione, oltre ad alcuni molto importanti nel campo della fantascienza. Ricordo qui Blade Runner 2049, un buon seguito della famosa opera di Ridley Scott, e soprattutto Arrival, uno dei film più intelligenti sul primo contatto con gli alieni, tratto da un racconto del matematico cinese – americano Ted Chiang: Storia della tua vita. Con queste premesse, era lecito attendersi una trattazione del romanzo molto rispettosa delle sue complesse tematiche e così è stato. Il regista ha dovuto semplificare e tagliare alcuni aspetti, cosa inevitabile quando si passa dalla parola scritta all’immagine, ma nel complesso è riuscito a descrivere la maggior parte di ciò che Herbert aveva in mente. Volendo essere pignoli, mancano nei due film due categorie di personaggi: la Gilda dei Piloti Spaziali e i mentat, i cosiddetti computer umani. Nell’universo futuro di Herbert, infatti, le macchine pensanti, le intelligenze artificiali e i robot umanoidi sono stati aboliti (dopo una rivolta chiamata jihad butleriano); a causa di ciò il commercio spaziale e la navigazione si reggono grazie a persone che amplificano le proprie capacità di calcolo usando in grande quantità la “spezia” di Arrakis. La spezia ha anche altre funzioni, tra cui quella di assicurare una maggiore longevità agli abitanti del futuro, quasi fosse un elisir di lunga vita; tuttavia, mancando nel film la descrizione dei suoi utilizzi, si fatica a capire come mai sia l’elemento essenziale dell’economia nell’impero galattico (a meno che non si sia già letto il libro). Anche il duello finale tra i due cugini Paul Atreides e Feyd – Rautha Harkonnen è stato un po’ modificato rispetto al romanzo e al film precedente. Personalmente, continuo a preferire la prima versione interpretata da Sting, con la faccia spiritata e i capelli tinti di rosso (caratteristica genetica degli Harkonnen) rispetto all’attuale versione di Austin Butler: un Feyd – Rautha pelato ed esangue come un nuovo nosferatu. Sono scelte registiche che si potrebbero definire “licenze poetiche”, ma sono solo dettagli, su cui si può sorvolare. La modifica più significativa apportata da Villeneuve alla trama del romanzo (e che ha lasciato perplessi molti appassionati lettori) è il ruolo di Alia, la sorellina di Paul Atreides /Muad’Dib. Ricordo qui che Paul e Alia sono ispirati a Oreste ed Elettra, i personaggi delle tragedie di Eschilo: anche di questo ho dato spiegazione e lo potete leggere nel link riportato sopra. Nel film di Lynch Alia era raffigurata come una bimbetta, vestita nei severi abiti neri delle sacerdotesse Bene Gesserit, che già agiva e pensava come un’adulta ed aveva poteri mentali addirittura superiori a quelli del fratello. Questa volta è solo un feto, ancora ben protetto nel ventre di mamma Jessica, ma già in grado di comunicare telepaticamente con Paul e consigliarlo. È da presumere che questo cambiamento sia stato studiato dal regista per introdurre compiutamente il personaggio di Alia nel prossimo film, di cui sta già scrivendo la sceneggiatura. Probabilmente è un trucco per tenere alta l’attenzione degli spettatori, oggi molto più abituati che in passato ai film seriali. Basti pensare ai sei film di George Lucas su Star Wars, ai sei film di Peter Jackson su Il signore degli Anelli e Lo Hobbit e agli oltre venti film collegati tra loro dei supereroi nel cosiddetto Marvel Cinematic Universe.

Dal punto di vista cinematografico, va sottolineato che gli effetti speciali hanno ormai raggiunto vertici impensabili ai tempi del primo film: modellini in scala, protesi facciali, marionette elettroniche e sovrimpressioni su pellicola sono stati sostituiti da animazioni e disegni al computer che illudono completamente lo spettatore, grazie a tecniche come il green screen. Villeneuve ha comunque girato molte scene in esterni, per conferire un maggiore realismo, e ha usato dei filtri per sottolineare la diversità della luce nei vari pianeti. Su Dune / Arrakis ha usato dei filtri giallo arancio per evidenziare i colori della sabbia e del sole perennemente presente, mentre sul pianeta degli Harkonnen, dove la luce è più fioca, le scene sono girate con colori lividi e scuri, quasi solamente con tonalità di grigio. I colori, ovviamente, servono anche a sottolineare il differente carattere dei personaggi e il differente modo di concepire la vita. Nel complesso giudico Dune parte Prima e Seconda un ottimo film, in grado di accontentare sia i lettori dei romanzi di Herbert (tranne forse quelli più sofistici) sia gli spettatori comuni. Se dopo averli visti vi verrà voglia di leggere l’opera di Frank Herbert, vi suggerisco di ricorrere alla edizione di Fanucci Editore, che ha riunito tutti e sette i romanzi del ciclo: Dune, Messia di Dune, I figli di Dune, L’imperatore – dio di Dune, La rifondazione di Dune, gli eretici di Dune, I cacciatori di Dune, I vermi della sabbia di Dune. Magari cominciate solo con il primo, in modo da abituarvi allo stile scorrevole ma complesso usato dall’autore. Poi deciderete con calma se vale la pena di seguire il resto della saga. Evitate invece di cominciare dai romanzi scritti da Brian Herbert, il figlio di Frank. Per quanto ben scritti, i vari sequel e prequel (come si chiamano in gergo) sono solo aggiunte, fatte per sfruttare la gallina dalle uova d’oro. Il romanzo piacerà a tutti? Ovviamente no: ognuno ha i suoi gusti. Ricordo bene, per esempio, che due grandi esperti di fantascienza italiana come Ugo Malaguti e Vittorio Curtoni non hanno mai amato queste opere di Frank Herbert, tanto che negli anni ’60, pur avendone la possibilità, rifiutarono di acquistarne i diritti (cosa che fecero poi Riccardo Valla e l’editrice Nord). Da allora, però, questi romanzi sono stati letti nel mondo da circa 12 milioni di persone e altre se aggiungeranno, dopo il successo dei film. Non penso che si siano sbagliati tutti quanti.

Franco Piccinini


Franco Piccinini (Asti, 1954), si è laureato a Pavia e fino a poco tempo fa ha esercitato la professione di medico. Grande esperto e cultore di fantascienza, ha pubblicato i romanzi "Ritorno a Liberia" (tratto dal suo primo racconto), "Il tempo è come un fiume", il saggio "Scienza medica e fantasie scientifiche" (finalista al Premio Italia 2012 e vincitore del Premio Vegetti 2018), oltre a vari articoli su Nova SF* e racconti su Futuro Europa. Di recente ha pubblicato il saggio "Mondi Sotterranei" per i 700 anni di Dante. Nel 2011 ha iniziato a collaborare con l'editore Solfanelli e con Delos Digital. E' un grande amico della Biblioteca Bonetta e ha precedentemente scritto per il nostro sito anche i seguenti contributi:

 

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