Un Libro importante per capire il magistero di Papa Francesco


UN LIBRO IMPORTANTE PER CAPIRE IL MAGISTERO DI PAPA FRANCESCO

Daniele Menozzi, professore emerito alla Scuola Normale Superiore di Pisa, è uno dei più importanti storici italiani. Il suo libro uscito recentemente, Il papato di Francesco in prospettiva storica (Morcelliana, 2023), costituisce a nostro parere un contributo prezioso alla comprensione dell’operato di papa Francesco, che non ci sembra sia sempre apprezzato come merita all’interno della Chiesa (mentre, paradossalmente, è seguito con grande simpatia da molti ‘laici’, estranei o ai margini rispetto all’istituzione ecclesiastica, o dagli appartenenti ad altre religioni). Come occasione per chiarirsi le idee, o almeno per affrontare una seria discussione, ci farebbe piacere che la ricerca di Menozzi fosse letta da tutti i preti della diocesi di Pavia (beh, non esageriamo: diciamo la metà… diciamo il dieci per cento...) e da molti laici. Il libro presenta molte sfaccettature, su cui non possiamo soffermarci. Ci limiteremo qui a indicare, con le parole dell’autore, quale ci pare la tesi fondamentale: “Francesco avanza una proposta di riforma ecclesiale che parte da una precisa consapevolezza: è irrimediabilmente tramontato il progetto di ritornare a un regime di cristianità, in precedenza perseguito, sia pure in modi diversi, dall’autorità ecclesiastica. In questa situazione tocca a tutti i battezzati - laici e pastori insieme - individuare le modalità di un nuovo annuncio del Vangelo, la cui intelligenza, legata ai segni dei tempi, trova oggi una fondamentale cifra interpretativa nella figura fraterna e misericordiosa del buon samaritano. Il prossimo sinodo universale – e il suo rapporto con i cammini sinodali intrapresi dalle Chiesa nazionali – sarà una cartina di tornasole per verificarne l’effettiva accettazione e l’eventuale declinazione” (p.15). Cerchiamo di esplicitare alcune delle implicazioni di queste indicazioni.

In primo luogo ricordiamo la distinzione, già proposta da sant’Agostino, tra fede e dottrina, cioè tra fides qua (la fede come apertura alla Trascendenza, a Dio) e fides quae (le formulazioni che la Chiesa dà della fede nel corso dà dei secoli). Tra le due esiste parentela, ma non certo identità. A riprova di ciò, si provi a leggere oggi, o a rileggere, il Sillabo, emanato da papa Pio IX nel 1864 in appendice all’enciclica Quanta cura, cioè l’elenco dei ‘principali errori del nostro tempo’. Lo spirito di questo documento è compendiato dalla proposizione LXXX, che comminava l’anatema a chiunque sostenesse che “il Romano Pontefice può e deve riconciliarsi e venire a compromesso col progresso, col liberalismo e con la moderna civiltà”. Ogni commento è superfluo. Veniva qui ribadita una tradizione dottrinale di contrapposizione radicale alla modernità, e insieme di mitizzazione di un Medio Evo idealizzato, che ha prevalso nella Chiesa cattolica per un secolo e mezzo, tra Ottocento e prima metà del Novecento. Ma tale tradizione è stata ribaltata, in linea di principio, dal Concilio Vaticano II. Joseph Ratzinger, negli anni Settanta, espresse in modo icastico questa contrapposizione tra le due impostazioni: la Costituzione pastorale Gaudium et spes, disse, è l’Anti-Sillabo. Papa Francesco, sin dagli inizi del suo pontificato, è stato completamente d’accordo con la nettezza di questa contrapposizione. “Lo mostra la ripresa nell’[Esortazione apostolica] Evangelii gaudium della celebre frase con cui Giovanni XXIII nell’allocuzione di apertura del Vaticano II invitava a tener ben distinta la sostanza del messaggio evangelico dai cangianti registri che nel corso del tempo la rivestivano (n.41). In quest’ottica l’esortazione chiarisce che la Parola di Dio non è cristallizzata in una dottrina che ne stabilisce in via definitiva il significato. Tocca agli uomini di ogni tempo scoprirne la ricchezza in relazione alle concrete condizioni della storia che stanno vivendo. Si coglie qui l’affermazione di un altro tema giovanneo: l’affermazione che non è il Vangelo che cambia, ma siamo noi che nel corso del tempo giungiamo a comprenderne meglio il significato” (p.33).

Il confronto con la storia vuol dire confronto con la cultura contemporanea, con le scienze e le tecniche ma anche con le filosofie nichiliste che, esplicitamente o implicitamente, pervadono l’Occidente. Chi leggerà attentamente un capolavoro come l’Enciclica Laudato si’ troverà perfettamente fusi i diversi momenti: la proclamazione della verità esistenziale della fede cristiana e insieme una critica puntale, per così dire dall’interno, cioè compiuta nella lingua degli uomini e delle donne di oggi, dell’abisso a cui sta conducendo uno sviluppo governato solo dal “paradigma tecnocratico-finanziario.” Rispetto a Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI Menozzi individua in Francesco una differenza di accento, che riguarda il rapporto tra ‘legge di natura’, di cui l’autorità ecclesiastica sarebbe depositaria, e condizioni storiche concrete e mutevoli. Certo, si potrebbe dire che l’affermazione di una ‘legge di natura’ è il corrispettivo dell’affermazione di una fraternità universale tra gli esseri umani. Ma, osserva Menozzi, bisogna essere molto cauti nell’usare questo concetto-limite, per non farne una sorta di passe-partout che sostituisca le singole specifiche analisi e proposte concrete (si prenda come esempio la questione dell’omosessualità, tradizionalmente considerata ‘contronatura’ e spesso confusa con crimini abominevoli come la pedofilia, e oggi considerata in modo più aperto). Alla categoria di ‘legge naturale’ (che non viene soppressa, ma deve rimanere sullo sfondo) subentra quella dei “segni dei tempi” che vanno ‘letti’, cioè interpretati: e “il compito di leggere i segni dei tempi non tocca esclusivamente al pontefice, alla gerarchia e al clero, ma alle comunità ecclesiastiche nel loro insieme. In tale ottica un’intelligenza del Vangelo emergente dall’effettiva realtà storica è un compito collettivo con cui ciascuno fedele è chiamato a dare il suo contributo all’interno della Chiesa particolare in cui vive ed opera” (p. 98). “In questa prospettiva non si delinea semplicemente uno stretto nesso tra lettura della storia attraverso i segni dei tempi e rimozione delle superfetazioni nell’interpretazione del Vangelo che ne impediscono la comunicazione agli uomini [e alle donne] del nostro tempo. E’ nello svolgersi delle vicenda umana della storia che si trovano gli elementi per quella riforma della Chiesa richiesta dall’aggiornamento pastorale”(p. 92). Un’ultima osservazione può essere fatta relativamente a “un principio ovvio, anche se spesso misconosciuto: la gerarchia delle verità nel cattolicesimo. I principi non negoziabili derivati dalla legge naturale non vengono certo abrogati, ma sono subordinati al Vangelo, il cui nucleo costitutivo è identificato nella misericordia. Ne consegue un profondo mutamento nel rapporto tra la Chiesa e gli uomini d’oggi: la carità del buon samaritano, non la pretesa di conformare alla legge naturale i comportamenti individuali e gli ordinamenti pubblici appare l’elemento distintivo e qualificante della pastorale. Una delle più note ed originali proposte di Francesco – la Chiesa come ospedale da campo – trova in questa concezione la sua radice (pp. 63-64).

Molte sono le sollecitazioni presenti in questo libro prezioso e molto ben documentato, in cui non mancano lacune, come è ovvio aspettarsi, avendo esso come oggetto un papato ancora in corso (per esempio non c’è riferimento alla fondamentale novità di principio apportata da papa Francesco nella Fratelli tutti sul tema dell’ecumenismo religioso). Ma gli spunti di riflessione che da questo testo promanano sono così tanti che ci piacerebbe venissero discussi anche nell’ambito della Chiesa pavese.

 


"Il papato di Francesco in prospettiva storica", Daniele Menozzi - Editrice Morcelliana, 2023


 

GIANFRANCO POMA E WALTER MINELLA

 

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