Anna Turra, Terra straniera

Anna Turra, Terra straniera

Ho avuto il privilegio di leggere alcuni di questi racconti subito dopo che erano stati scritti: ero collega al Liceo Foscolo di Pavia di Anna Turra, allora docente di latino e greco, che me li passava man mano che li componeva. Io già ammiravo professionalmente Anna perché riconoscevo in lei due competenze che non sempre vanno insieme: una impeccabile preparazione filologica e storico-letteraria e un’attenzione precisa, fine, acuta a ciascuno dei ragazzi che erano affidati al suo insegnamento. Man mano che leggevo questi racconti, si confermava un terzo tipo di apprezzamento, che avevo già provato leggendo i suoi due libri precedenti (sempre editi, come questo, dalla Ibis), Storie della SNIA (2007) e Racconti d’acqua e di terra (2011).

Anna Turra è una vera scrittrice: questa è la prima valutazione che balza agli occhi, leggendo una sua pagina. Se ci si interroga sulle ragioni di questa impressione emerge subito una peculiarità della sua scrittura: quella che, in prima approssimazione, definirò l’acutezza dello sguardo.

I sei racconti di questo libro, introdotti da un prologo, Piazza Petrarca, sono ambientati tutti a Pavia, e quindi i lettori di questa scheda riconosceranno gli ambienti e, forse, persino le persone a cui essi si riferiscono. Ma, dopo aver letto queste pagine, si renderanno conto di quanto la loro conoscenza fosse superficiale, di routine, povera. L’autrice sa scavare nella realtà, e dove per esempio noi ci limitiamo a vedere una mendicante rom oppure una stiratrice cinese lei ci restituisce una principessa nascosta (Domniţă) oppure una donna coraggiosa, che ha attraversato i mari fisici e le tempeste della vita mantenendo intatta la propria dignità e l’apertura al futuro (Monologo cinese. Per voce di donna in una stireria è una vera performance letteraria, perché l’autrice utilizza proprio l’italiano elementare e stentato della stiratrice per renderci consapevoli della vastità e profondità del suo mondo).

Ma, procedendo nella riflessione, la definizione precedente risulta insufficiente: perché questo sguardo non nasce semplicemente da una più profonda intelligenza del reale, delle persone, ma da una straordinaria capacità di empatia, e quindi di attenzione. E’ questa che permette il rovesciamento degli stereotipi, dei luoghi comuni, delle semplificazioni banalizzanti e riduttive a cui siamo abituati. Non si deve pensare che vengano così cancellati i difetti dei personaggi: per esempio, nel racconto della principessa-mendicante rom è ben evidente l’ignoranza abissale in cui la protagonista è immersa, il fatto che il marito sia, diciamo così, palesemente inadeguato, la famiglia allargata in cui vive abituata a tanti compromessi, alcuni dei quali non propriamente puliti ecc. Ma quello che l’autrice sa cogliere e rendere è la capacità di amare profondamente, teneramente i suoi figli da parte della ragazza, precocemente madre: è questa capacità di amore che la salva, insieme a una istintiva sensibilità, che le circostanze non le hanno permesso di articolare. Allo stesso modo nel racconto Bambino blu la protagonista è una dottoressa romena che, in sostanza, sacrifica la sua vita per il fratello gravemente malato.

Alcune ulteriori osservazioni. Anzitutto gran parte dei personaggi di queste piccole storie di vita quotidiana sono donne: senza alcun proclama o dichiarazione di intenti da parte dell’autrice, mi pare emerga una sua precisa consapevolezza di quel tanto di più che il genio femminile custodisce in sé e può donare. In secondo luogo, queste donne sono quasi tutte straniere (ad eccezione della protagonista dell’ultimo racconto, Mama): ma l’autrice mette in luce, accanto alle ovvie peculiarità nazionali, quel fondamento che ci accomuna tutti in quanto esseri umani.

Numerosi sono gli accenni alla grande cultura greca che troviamo in queste pagine, a partire dal bellissimo detto di Platone posto in exergo al testo (Lo straniero, poiché è solo, senza amici e famigliari, molto muove a compassione uomini e dei). Ma sono appunto accenni, che fanno capire come questa cultura sia diventata per Anna parte costitutiva della sua personalità, e dunque ricorra alla mente senza nessuna forma di ostentazione o di fatica, come le parole sagge di un amico lontano e prezioso.

Infine, ultimo strato, anche questo appena accennato: la fede cristiana. E’ questa, si intuisce, la luce che rende lo sguardo dell’autrice così luminoso. Il concetto teologico che “Dio è amore” significa per Anna Turra, credo, l’impegno ad amare la vita, al di là di tutte le apparenze, gli orpelli, le vanità, le illusioni, gli inganni o gli autoinganni. E, poiché siamo circondati da messaggi che proclamano tutti, direttamente o indirettamente, l’insignificanza, la vacuità e la banalità della vita, o almeno della vita per la grande maggioranza di noi (‘uno su mille ce la fa’, a diventare ricco o famoso) un libro di lode della vita quotidiana risulta tanto apprezzabile.

w.m.

[Anna Turra, Terra straniera, Ibis, Como-Pavia, 2017]


Walter Minella - l'autore di questa recensione - ha insegnato storia e filosofia nei Licei. Tra le sue pubblicazioni: Il dibattito sul dispotismo orientale. Cina, Russia e società arcaiche (1991). Ha tradotto il breve saggio di Varlam Tichonovič Šalamov, il grande testimone dei Gulag, Tavola di moltiplicazione per giovani poeti (2012), ha curato la pubblicazione del libro postumo di Pietro Prini, Ventisei secoli nel mondo dei filosofi (2015) e ha scritto la monografia Pietro Prini (2016).

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