E' un grande libro, questo di Janos Székely, scrittore ungherese nato nel 1901 e morto a Berlino Est nel 1958: grande non soltanto per il numero delle pagine (677 nella traduzione italiana) ma anche e soprattutto per lintensitŕ drammatica che lo pervade e che porta il lettore a seguire passo passo le vicende del giovane protagonista. Questi trascorre linfanzia in un paesino ungherese, dopo essere stato affidato dalla madre - una ragazza-madre a una ex-prostituta riconvertita alla cura, in modo avido e duro, dei bambini altrui (sembra di leggere Dickens), fin quando, ormai ragazzo, viene portato dalla madre a Budapest, passando cosě dalla miseria del paesino dellinterno dellUngheria a quella della grande cittŕ. Dopo vari avvenimenti, sempre sul filo della battaglia per la sopravvivenza, e dopo aver dato prova di un talento letterario originale e inconsueto, il giovane riuscirŕ a scappare e a rifugiarsi in Austria. E probabile che la storia ricalchi in qualche modo le vicende dellautore che, dopo aver debuttato come sceneggiatore nel cinema ungherese, si trasferě negli Stati Uniti, dove tradusse lui stesso in inglese, con laiuto di un amico, questo libro originariamente scritto in ungherese. Il testo fu pubblicato dopo la seconda guerra mondiale anche in Ungheria, sotto lo pseudonimo di John Penn, ma quando si scoprě che lautore era ungherese e che dunque il libro non era tradotto, esso fu proibito. Ho detto prima che il protagonista del libro č, in qualche misura, lalter ego dellautore: ma in realtŕ si potrebbe dire che il vero protagonista č la miseria nera - la fame, il freddo, lignoranza del popolo e, per contrasto, lo sfarzo, il lusso e il disprezzo verso la 'plebagliaě da parte degli aristocratici, nellUngheria tra le due guerre, sotto il regime parafascista dellammiraglio Horthy. E molto difficile, anche nellEuropa in crisi di oggi, immaginare quei livelli di miseria: forse, per rendere lidea, bisognerŕ pensare alle condizioni diffuse o prevalenti in molti paesi del cosiddetto Terzo Mondo. Bisogna aggiungere che queste condizioni non si ritrovavano solo in Ungheria, ma ricorrevano anche in altri paesi dellEuropa occidentale: per esempio, le testimonianze che abbiamo sulla vita quotidiana nelle campagne italiane di 100 o 150 anni fa ci dicono qualcosa di simile. In questo senso questo romanzo č anche, indirettamente, un documento storico. Ma, se questo č lo sfondo o il contesto, la caratteristica distintiva del libro č costituita dalla volontŕ dellio narrante di non arrendersi, dallo sforzo di affermare, nonostante tutto, la propria dignitŕ di essere umano. In questa battaglia per la vita il protagonista č aiutato da figure straordinarie, delineate con brillante talento narrativo, come il maestro progressista del paesino dellinterno o lamico e collega cameriere in un Grand Hotel di Budapest. Per contrasto, emergono altre storie e altre figure, come quella di unaristocratica ospite dellalbergo, una dark lady abituata a considerare i suoi giovani partner occasionali come semplici oggetti sessuali. In sintesi, ciň che sembra decisivo nel libro, e che ha spinto me ed alcuni amici a proseguire la lettura fino alla fine, č lampio respiro, il gusto della suspense, il tocco di classe dellironia.
w.m.
[Janos Székely, Tentazione, traduzione di Vera Gheno, Adelphi, Milano, 2009]
Walter Minella - l'autore di questa recensione - ha insegnato storia e filosofia nei Licei. Tra le sue pubblicazioni: Il dibattito sul dispotismo orientale. Cina, Russia e societŕ arcaiche (1991). Ha tradotto il breve saggio di Varlam Tichonovič alamov, il grande testimone dei Gulag, Tavola di moltiplicazione per giovani poeti (2012), ha curato la pubblicazione del libro postumo di Pietro Prini, Ventisei secoli nel mondo dei filosofi (2015) e ha scritto la monografia Pietro Prini (2016).