Stefano Tonietto, Olimpio da Vetrego


Torna finalmente in libreria, esaurita e introvabile ormai da tempo la prima edizione 2010, un’opera davvero fuori dell’ordinario (straordinaria): il vasto e affascinante poema in ottave Olimpio da Vetrego di Stefano Tonietto. L’autore si è fatto conoscere negli ultimi anni per la sua felicissima e fortunata Letteratura latina inesistente (Quodlibet, 2017; presentazione e apprezzamenti critici di Gino Ruozzi, Sara Ricci, Valerio Magrelli, Filippo Lovato, Tiziano Fratus e molti altri: https://www.quodlibet.it/libro/9788822900838), per un saggio sull’assenza di Antonio da Padova nell’opera di Dante (Dante e Antonio: indagine sopra un’assenza in «Studi italiani», anno XXVIII, luglio-dicembre 2016, http://www.italinemo.it/riviste/sommario_rivistajs.php?fascicolo=STUDI+ITALIANI%7C2016%7C2), per più di un riconoscimento da parte della toscana Accademia dell’Ottava (https://www.accademiadellottava.it/ottottave-2012-classifica-finale). La nuova edizione di Olimpio da Vetrego (Delmiglio Editore, Verona 2019) – mutata la veste grafica e l’apparato paratestuale – è arricchita da trentasette splendide illustrazioni di Alberto Piancastelli e corredata di una premessa di Sara Ricci e di una nota (“Una vicenda editoriale”) aggiunta dall’autore.

Opera vasta, si diceva, questo Olimpio da Vetrego – un poema in sessantaquattro canti che si distende per 4.633 ottave e del quale il risvolto di copertina della prima edizione ironicamente sottolineava l'indubbio peso e l’evidente spessore – ma soprattutto opera-mondo, in cui decine di personaggi indimenticabili appaiono, scompaiono, amano, odiano, smodatamente mangiano e bevono, brigano, combattono, muoiono, uccidono, dando vita a un ricco e complesso universo di relazioni e animando scenari sempre cangianti e spesso inaspettati.

L'azione si svolge sullo sfondo mitico/storico di un alquanto improbabile secolo sedicesimo (con echi di secoli passati e anticipazioni di futuri) in cui si confrontano e scontrano aspiranti imperatori, seguaci di un papa e di un antipapa, fautori di crociate fuori tempo, anime candide, eretici, spiriti liberi impegnati a combattere mostri infernali con le armi della ragione. Il rozzo – iracondo e violento quanto ingenuo – aspirante cavaliere Olimpio da Vetrego attraversa, tra avventure e colpi di scena, territori tormentati da guerre religiose e infestati da mostri e da giganti. Lo accompagnano a tratti un frate insaziabilmente famelico, un sottile causidico di incrollabile fede epicurea, un ex boia, una compagnia di saltimbanchi, un sanguinario brigante di strada, un ranocchio trasformato in principe e irrimediabilmente nostalgico del natio pantano, un feroce pirata saraceno, un uomo affetto da totale incapacità di capire le metafore e mille altri bizzarri personaggi. Compaiono a volte un petulante pappagallo dotato di capacità profetiche, un’orgogliosa bellissima guerriera, un mago maldestramente evocatore di spiriti infernali, un trasformista senza principi che – di inganno in inganno – ascenderà fino ai vertici del potere, un disinvolto cardinale che non sa bene se più gli convenga schierarsi col papa o con l'antipapa, uno sprovveduto diavolo a cui sfuggono le anime che gli sarebbero spettate in base ai patti. Sempre presente a fianco di Olimpio e suo alter ego (in senso fin troppo letterale) è un menestrello che vorrebbe cantarne le imprese in un memorabile poema, ma che non riuscirà mai ad andare oltre il primo verso.

Si passa dalla desolata Vetrego della più profonda campagna veneta a città brulicanti di pericoli e avventure (Mantova, Bologna, Firenze, Roma...), da certe cime brulle dove si trova l’abbazia della Forcuta al soglio sacro / nella rocca papal di Pedestrina là dove siede il papa (o antipapa?) Sisto, dal Tirreno all’Adriatico, da una semidesertica costa africana a Candia profumata, dalle infernali triste riviere d’Acheronte alla Terrasanta.

Nel canto XVIII vediamo avanzare lentamente tra la folla la carretta su cui Olimpio e i suoi compagni condannati a morte vengono condotti verso la piazza del patibolo: Ecco che verso il centro della piazza / la processione incede senza fretta; / fitta la plebe pullula e schiamazza / e s’accalca al passar della carretta. / Ciascuno insulta, zufola, bravazza, / e canta contro noi la canzonetta; / c’è chi nel mezzo a tanto parapiglia / si porta dietro pure la famiglia. / […] Domanda il più piccino, tutto in festa: / «Babbo, quand’è che tagliano la testa?», ma nel canto LXII ritroveremo alcuni di quegli stessi suoi compagni, allora fortunosamente scampati al boia, accolti con tutti gli onori – insieme con Olimpio – dal Pontefice in persona.

Nel canto XXXIV uno sdegnato Olimpio balzerà sul palco di un teatro di saltimbanchi per battersi con l’attore che aveva maldestramente interpretato il suo personaggio: Ti si spernacchia, / si ride alle tue spalle, ti si burla. / Le tue gesta gloriose son la pacchia / d’un arlecchin che si scalmana ed urla / […] / Non poté tollerar tale evidente / offesa e spregio il prode Olimpio, e trasse / l’acuto ferro, molto più furente / di quanto il danno stesso comportasse. / D’un balzo scavalcò tutta la gente / senza chiedere ’ alcun che si spostasse, / balzò sul palco, che tremò sugli assi / all’impatto suo grave ed ai suoi passi, ma poco dopo un Olimpio placato, furbescamente mercanteggiando sul compenso, si accorderà col capocomico per essere assoldato nella compagnia itinerante.

Nel canto XXXVII Olimpio, reso furioso da qualcosa di assai diverso da amore e gelosia, imperversa a Roma, tra i commenti cinici e dissacranti del popolino: [...] Le terme demolì di Pertinace / coi resti del teatro di Traiano; / l’arco d’onor di Massimino il Trace / la colonna seguì del divo Adriano; / l’ara di Giove, ed altro che si tace / col circo di Pompeo ridusse al piano, / sì che Roma, quel dì, piaccia o non piaccia, / incominciò a mostrar l’odierna faccia. / […] Fuor da botteghe e chiese e lupanari / vanno intrecciando arguti conversari. / […] / «Checco, che è? Che stanno a demoli’?». / «Butteno Roma ggiù, sora Titina». / «Anvedi un po’, sor Titta! O guarda lì: / era ora de dda’ ’na passatina». / «Sant’Arecèli, e mó?». «Mó se pò ddi’ / che tra rovine antiche se cammina». / «Vabbè, mastro Tobbia, ma cce va a fonno / non tutta Roma sol, ma mezzo monno». / […] / «Vòi véde che da questo zottosopra / qualche fio de mignotta cce fa trippa?». / «Oh, statece sicura, che se scopra / de intrallazzi schifosi, sora Pippa». / «Però, la spada, que’, come l’adopra! / Te assicuro, nissuno gliela scippa». / «Gambe in dentro, ohé, sor Iacovaccio, / pozza caderce quarche calcinaccio». / [...]

Nel canto LXIV e ultimo (“Delle gesta d’Olimpio d’oltremare”), una sinistra scorta – Eran quaranta (calcolo) ladroni, / tutti armati di curva scimitarra – condurrà fino a una misteriosa grotta del tesoro il nostro Olimpio, che – inavvertitamente strofinando lì una lampada – evocherà uno sbrigativo e insofferente Genio: sbuffò via dalla lampada del fumo. / Non era blu, ma viola melanzana: / si dilatò, si raddensò, s’accolse, / come cagliata in cacio, in forma umana, / e a mo’ di grand’emiro a noi si volse, dicendo cose in una lingua strana / […] / « Ma cosa dici?». «Chiaro ancor non fui? / Esaudirò tre vostri desideri». / «Potta – Olimpio esclamò - mi venga un colpo!». E cadde al suolo, molle come polpo. / […] / « Fossi annegato per i sette mari!». / «Fossi stato bruciato come eretico!». / S’oppose il Genio: «Io non ho (magari!) / potere sul periodo ipotetico; / tra sei secoli o sette avrò lucrato / facoltà d’operare sul passato». Siamo quasi alla fine delle avventure di Olimpio, ma non mancheranno altri colpi di scena...

Olimpio da Vetrego è – nel panorama della produzione letteraria dei nostri giorni – opera fuori dell’ordinario non solo per l’inconsueta forma di poema in ottava rima, non tanto per le insolite dimensioni (le più di mille pagine della prima edizione e le più di seicento di questa seconda), ma soprattutto per solidità di struttura narrativa, potenza di immaginazione, capacità evocativa, ricchezza linguistica, ironia. I modelli di riferimento vanno cercati lontano nel tempo: Morgante Maggiore, Baldus, La secchia rapita Così hanno scritto alcuni entusiasti lettori all’uscita della prima edizione del 2010: Olimpio da Vetrego? Cosa dire... è una delle cose più belle che abbia mai letto”; “avventure picaresche tra colpi di scena, agnizioni, intrighi. Non un libro qualunque, Olimpio da Vetrego, scritto nell'arco di 27 anni di lavoro dal padovano Stefano Tonietto. Il lettore moderno non potrà che restare intrigato da un testo del tutto fuori dagli schemi”; “le mille e più pagine? Niente di cui preoccuparsi. È talmente avvincente che lo finirete in pochi giorni e non vedrete l'ora di vedere come va a finire”.

Per offrire qualche altro diretto assaggio dell’opera di Stefano Tonietto, che soltanto una lettura integrale permetterà di assaporare con pieno e incomparabile godimento intellettuale (e qui penso anche al virtuosismo linguistico di esilaranti ottave tutte in latino o in romanesco o in siciliano o in veneto – a seconda del locutore – e di ottave interamente costruite su sinonimi di “mangiare” o di “bere”), ne voglio riportare ora alcuni versi accomunati dal tema del confronto ortodossia/eresia: in un episodio del Canto XIII vediamo Olimpio destreggiarsi con difficoltà nel tentativo di distinguere tra l’una e l’altra; nel Canto XXVII fa la sua fugace comparsa un intransigente difensore dell'ortodossia religiosa, del quale – oltre a quel che vien detto in questi otto versi – nulla più sapremo negli altrii 37.056 del poema; in un dolente appello del Canto XXXI il dialogo interreligioso non appare di interesse centrale...

 

Dal Canto XIII:

31 A un altro bivio ove giungemmo poi
v'era a dorso d'un asino un viandante
che andava donde venivamo noi.
Il prode fier gli si parò davante:
«Messer – disse – rispondimi, se vuoi;
ma pria di non voler, pensa un istante
e guarda al brando ch'ho nella mia mano.
Or di': sei tu infedele o sei cristiano?».

 

32 Quello rispuose: «Credo in Dio creatore
del mondo». E Olimpio disse: «Ottimamente».
«E credo in Gesù Cristo salvatore
per molti crocifisso». «Esattamente».
«Nello Spirito vivificatore
io credo poi davvero». «Giustamente».
«Ma non credo al pontefice romano».
Concluse Olimpio: «Addio, tu sei cristiano».

 

33 Io qui l'assalsi: «Prendilo, salame!».
E il prode, a me rivolto: «Sei frenetico?
Costui ha superato ben l'esame,
parlava come avesse del profetico».
«O testa – dissi – piena di letame,
non t'accorgesti tu ch'egli è un eretico,
cento volte peggiore del pagano?».
Ma quel viandante stava ormai lontano.

 

Dal Canto XXVII:

12 Dopo una lunga, lunga, lunga vita
spesa contro l'eretica impostura,
frate Simone detto l'Eremita
morendo rinnegò saio e tonsura.
Stupivan tutti: “Oh cosa inaudita”,
chiedendogli il perché di quell'abiura.
“Eretico mi fo”, disse, “e mi lodo:
morirà uno di loro, in questo modo”.

 

Dal Canto XXXI:

8 O cristiani, checché! Quale follia
vi mena, o crudelissimi, a menarvi,
quando sarebbe giusta ortodossia
come fratelli prendervi ed amarvi?
Sulla pagana gente e la giudia,
sull’eretico è lecito sfogarvi,
ma il battezzato ed il fedele è crudo
mandarli all’aldilà col ferro nudo.

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a.m.

[Stefano Tonietto, Olimpio da Vetrego. Poema comicavalleresco, Delmiglio Editore, Verona 2019, pp. 608, trentasette illustrazioni di Alberto Piancastelli, euro 26]


Alberto Moreni, laureato in filosofia a Pavia, è stato insegnante e preside in varie scuole della Lombardia, vive da più di un quarto di secolo a Firenze (dove ha lavorato presso la Biblioteca di Documentazione Pedagogica, l’Istituto Regionale di Ricerca Educativa e l’Ufficio Scolastico Regionale), è lettore curioso e onnivoro.

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