Ludmila Ulitskaja: due romanzi geniali e una delicata raccolta di racconti femminili


Nella recensione del novembre scorso ho presentato Una storia russa, un romanzo di Ludmila Ulitskaja (nata nel 1943). Voglio ora tornare su questa scrittrice, parlando anche degli altri due grandi romanzi che, insieme a Una storia russa, costituiscono una sorta di trilogia: Daniel Štein traduttore (tr.it. Bompiani 2010) e Il sogno di Jakov (tr.it. La nave di Teseo, 2018). Anzitutto perché, a mio parere, la Ulitskaja è oggi, dopo la morte di Amos Oz, lo scrittore che nel mondo più meriterebbe il premio Nobel. In secondo luogo perché, anche se molti dei suoi libri sono stati tradotti in italiano, anche se l’autrice ha ricevuto anche in Italia alcuni premi, oltre a quelli importanti ottenuti in diversi paesi europei, da noi la sua voce non è ancora stata riconosciuta dai recensori e dal pubblico come indimenticabile e necessaria. Superficialità? Provincialismo? Rimozione, perché da noi è mancata una vera riflessione sui caratteri del ‘socialismo reale’? In ogni caso, oggi Ludmila Ulitskaja (il cui nome può essere traslitterato anche come Ulickaja o Ulitskaya) è, probabilmente, il più grande scrittore russo vivente. La sua origine ebraica aggiunge un’ulteriore spezia all’impasto della sua cultura (è una genetista di formazione, ha diretto per anni il teatro ebraico di Mosca, ha competenze musicali eccellenti ecc.). Ma soprattutto è una testimone intelligente, ironica e appassionata della Russia nel Novecento.

I due romanzi di cui parliamo qui non sono soltanto grandi libri, sono anche libri grandi, che cioè superano le 500 pagine (un po’ come i romanzi russi dell’Ottocento). Sono romanzi epici, di grandi dimensioni: bisogna dire, però, che dopo le prime pagine, che possono apparire lente e/o difficili, il ritmo del romanzo afferra anche il lettore più pigro.

Il primo dei tre libri, Daniel Štein traduttore, è particolarmente interessante per lettori con interessi religiosi. In epigrafe porta una citazione da Paolo, 1 Corinzi 14, 18-19, che riporto dalla traduzione russa: “Io ringrazio il mio Dio. Perché parlo in lingue più di voi tutti. Ma nell’assemblea preferisco dire cinque parole con la mia intelligenza per istruire anche gli altri, piuttosto che diecimila parole in altra lingua”. Già, ma qual è la mia lingua per le migliaia di ebrei scampati agli orribili massacri nazisti e rifugiatisi chi in Israele chi negli Stati Uniti? Il personaggio principale, indicato nel titolo, è Daniel Štein: una figura eroica di ebreo resistente, che, durante la seconda guerra mondiale, scampato miracolosamente all’eccidio, si finse tedesco e quindi fece da traduttore per le truppe naziste, recuperando così informazioni preziose che passò avventurosamente alle comunità ebraiche, contribuendo in modo decisivo al salvataggio di centinaia di vite umane. Dopo la guerra, Daniel Štein (la figura è costruita a partire da un personaggio reale) si fa frate carmelitano, emigra in Israele e qui cerca di restaurare la Chiesa delle origini, la Chiesa di Giacomo, il fratello di Gesù, celebrando le funzioni in ebraico. Si tratta di un personaggio indimenticabile: basti dire per alcuni versi ricorda il principe Myškin, il protagonista dell’Idiota di Dostoevskij, la figura del cristiano che va incontro al mondo e che è rifiutato dal mondo – ma, in questo caso, non sprofonda nella pazzia, perché conserva sempre una sua riserva di gioia e di humour.

Il sogno di Jakov è il libro più personale della trilogia: in esso viene ricostruita romanzescamente, in parallelo, la storia del nonno dell’Ulitskaja, Jakov, e la storia della nipote, Nora, che sembra avere molti tratti in comune con l’autrice. Nora scopre per caso, alla morte della nonna, un fascio di lettere del nonno, a lei sconosciuto: lettere che erano state conservate accuratamente e custodite in un plico. Quando alla fine si decide ad aprire il plico, un po’ per volta scopre la vita del nonno, dalla giovinezza fino alla vecchiaia: le gioie, le speranze, le vicissitudini, le delusioni, le condanne al Gulag di un raffinato intellettuale, le cui vicende diventano una specie di archetipo del destino dell’intelligentsija russa nel primo Novecento. L’autrice accompagna la pubblicazione delle lettere di Jakov con la narrazione della storia di Nora, in cui un ruolo particolare spetta alla nonna Marusja, una figura notevole di donna emancipata: la dialettica duale del racconto (primo-secondo Novecento, le speranze, le illusioni e le delusioni di un intellettuale che si trova a dover ricominciare sempre da capo, da una parte, la quotidianità nel tardo regime sovietico dall’altra, la persecuzione del regime nei confronti del nonno e la condiscendenza al regime della nonna ….) risulta straordinariamente stimolante sul piano conoscitivo. Nel caso di questo libro, non basta leggere le prime pagine per capirne il senso fondamentale. Occorre arrivare alla fine per cogliere il cambio di prospettiva che ridà valore e una particolare drammaticità a quanto narrato prima. Un dettaglio: il titolo originale del libro era “La scala di Jakov”, o di Giacobbe, un’allusione teologica che rischia di essere perduta con il cambiamento di titolo (Il sogno di Jakov).

Poiché la difficoltà ad entrare in rapporto con questi libri della Ulitskaja può derivare dalla loro estensione, un primo approccio alla sua opera può essere la raccolta di racconti brevi In quel cortile di Mosca. Sono cinque storie di donne, nella Russia del secondo Novecento: donne molto diverse, il cui destino viene tracciato dall’autrice con finezza, partecipazione emotiva e anche, se necessario, con ironia. Se il lettore riconoscerà l’artiglio dello scrittore in questi brevi testi, passerà facilmente agli altri.

Infine, per i lettori amanti della musica colta, un’ultima segnalazione. Ne Il sogno di Jakov si racconta di un concerto di Rachmaninov, tenuto a Kiev con un trionfale successo, a cui il protagonista assiste. Un disco uscito recentemente, russian music (Sony) propone alcune musiche russe per pianoforte, di derivazione chopiniana: dalla struggente Natha-Valse op.51 n.4 di Čajkovskij (il cui tema verrà ripreso da Stravinskij in Petruška) a Glinka (Souvenir d’une Mazurka) a Balakirev (“Au jardin”. Étude-Idylle) a Skrjabin (Valzer op.38) a Rachmaninov (il Moment musical op. 16 n.4 e tre Préludes op.23, N. 4,5,10) fino alla deliziosa Die Musikdose op.32 (The Musical Snuff-Box) di Ljadov, una musica adattissima per i bambini (oltre che per gli adulti che non hanno dimenticato completamente la loro infanzia). Sono tipiche musiche da salotto, o da bis, apparentemente facili da eseguire (con l’eccezione di Rachmaninov) ma in realtà difficilissime, perché sono come ali di una farfalla: possono essere facilmente sciupate da mani inesperte o inconsapevoli. In questo disco l’interpretazione di Olga Scheps, una giovane musicista tedesca di origine russa, è meravigliosa perché restituisce a queste musiche lo splendore originario, un insieme di delicatezza e di tenerezza (l’ascoltatore se ne renderà conto confrontando questa interpretazione con altre che potrà trovare su you tube). La ‘giustezza’, il respiro, il rigore, l’intelligenza emotiva di Olga Scheps sono indimenticabili e costituiscono la migliore introduzione possibile alla cultura della Russia ‘occidentalista’, tra la seconda metà dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, che costituisce lo sfondo storico o il retroterra necessario dei libri della Ulitskaja.

w.m.

[Ludmila ULITSKAJA, Daniel Štein traduttore, tr.it. di Emanuela Guercetti, Bompiani, Milano 2010]

[Ludmila ULITSKAJA, Il sogno di Jakov, tr.it. di Margherita De Michiel, La nave di Teseo, Milano 2018]

[Ludmila ULITSKAJA, In quel cortile di Mosca, tr. it. di Raffaella Belletti, e/o, Roma 2012]

[Olga SCHEPS, russian music, Sony music]

 


Walter Minella - l'autore di questa recensione - ha insegnato storia e filosofia nei Licei. Tra le sue pubblicazioni: Il dibattito sul dispotismo orientale. Cina, Russia e società arcaiche (1991). Ha tradotto il breve saggio di Varlam Tichonovič Šalamov, il grande testimone dei Gulag, Tavola di moltiplicazione per giovani poeti (2012), ha curato la pubblicazione del libro postumo di Pietro Prini, Ventisei secoli nel mondo dei filosofi (2015) e ha scritto la monografia Pietro Prini (2016).

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