Floriana Vitale, La Viola dei venti

Floriana Vitale, La Viola dei venti

“Un diamante grezzo”: così un mio giovane, amico, che stimo moltissimo e a cui avevo dato in lettura il libro di una scrittrice esordiente, Floriana Vitale, ha sintetizzato le sue impressioni. Sono d’accordo. L’autrice è dotata di un talento naturale (il diamante): in questa narrazione c’è una freschezza, un respiro, una capacità di costruzione, un ritmo che avvincono fino alla fine. Qualche riserva (il carattere grezzo del diamante) può riguardare soltanto una certa fretta nella rappresentazione dell’ambiente di vita in cui si svolge la storia, che viene solo sommariamente accennato. Ma si tratta, in fondo, di difetti marginali.

La Viola dei venti è un racconto di formazione, in cui la protagonista, Sofia, rievoca l’intenso e tempestoso rapporto con una sua professoressa del liceo, Viola - educatrice, amica e amore insieme, che le ha segnato la vita e l’ha fatta maturare E’ probabile che vi sia molto di personale in questa vicenda: ma questa è una questione che attiene alla biografia dell’autrice e che per il lettore è del tutto irrilevante, perché quel che interessa è la trasformazione artistica di un vissuto. E’ questo il passaggio difficile e nel complesso, a mio parere, è pienamente riuscito.

Il centro del racconto, come si diceva, è Sofia, l’io narrante: la sua auto-percezione, quel che pensa o sente di sé, la sua evoluzione, la sua crescita rispetto all’adulta autorevole, poi amica e amata, Viola, la professoressa, vista sempre attraverso gli sguardi di Sofia. Il racconto di questo rapporto intenso copre gli anni del liceo ed è inserito in una sorta di cornice narrativa, costituita dalla vita di Sofia dieci anni dopo: la professoressa si fa viva con l’ex alunna dopo un lungo periodo di distacco e quella telefonata è l’occasione perché riaffiori alla mente della ragazza la storia del loro rapporto. Il cuore del racconto, dunque, sta nella memoria (non sappiamo se le cose siano andate veramente così, ma se questa cornice non è vera è molto ben trovata).  Se questo è il prologo, l’epilogo è sospeso: Sofia dovrebbe incontrare Viola, dopo molti anni, ma alla fine decide di scendere, alla penultima stazione, dal treno che la portava dalla sua vecchia amica.

Nel fluire della narrazione è possibile individuare alcuni nuclei tematici. Anzitutto, l’educazione. Viola non è una professoressa compiacente con gli alunni, anzi a volte appare fiscale, rigida, autoritaria (per esempio, nell’episodio iniziale, brillantemente descritto, dell’arrivo a scuola di Sofia e del suo primo incontro-scontro con Viola). Tuttavia emergerà presto che questa rigidità è fondamentalmente una forma di rigore, che essa è finalizzata a un’educazione profonda dei suoi alunni, cioè a trar fuori il meglio da loro, a insegnare loro il rispetto per sé, per gli altri e per il mondo della cultura. Il secondo tema è la seduzione: l’amore che si sviluppa tra le due donne viene descritto con finezza e con sensibilità. Il punto di vista è sempre quello di Sofia (se per ipotesi Viola avesse descritto le stesse situazioni il risultato sarebbe stato sicuramente diverso). Il terzo è l’ambiguità, l’ambivalenza: nel corso della storia emerge un fondo oscuro nella figura della professoressa, che si vuole proporre come una maestra di rigore, ordine intellettuale, chiarezza ma che risulta poi molto più tormentata e ombrosa – e quindi a volte ruvida, scontrosa, francamente antipatica – di quanto non vorrebbe apparire. Forse si può ipotizzare questa chiave di lettura: Viola sa che questo rapporto intenso con Sofia è per la ragazza un momento di passaggio, di crescita, di formazione. Per questo aiuta la sua giovane amica, a volte in modo anche duro (la scena della stanza buia) ad affrontare i propri fantasmi. Ma forse non vuole che si attacchi troppo a lei? Forse vuole liberarla e non legarla, e dunque è stretta tra un istinto di attrazione e un impulso di repulsione? O forse il rapporto di attrazione e repulsione riguarda tutte e due, e l’ambivalenza è propria anche, se non soprattutto, di Sofia? In ogni caso, il libro ha un profumo di verità che incanta: è la storia, non enfatica o di maniera, di una ragazza che attraverso l’amore scopre il proprio valore, si apre alla vita, soffre ma anche conosce momenti di grande, profonda gioia (pp.105-106). E’ un racconto semplice, fine e bello.

w.m.

[Floriana Vitale, La Viola dei venti, L’Erudita, Roma, 2017]


Walter Minella - l'autore di questa recensione - ha insegnato storia e filosofia nei Licei. Tra le sue pubblicazioni: Il dibattito sul dispotismo orientale. Cina, Russia e società arcaiche (1991). Ha tradotto il breve saggio di Varlam Tichonovič Šalamov, il grande testimone dei Gulag, Tavola di moltiplicazione per giovani poeti (2012), ha curato la pubblicazione del libro postumo di Pietro Prini, Ventisei secoli nel mondo dei filosofi (2015) e ha scritto la monografia Pietro Prini (2016).

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