La centralità della musica alta nell'esperienza culturale: due saggi


Chiunque ammiri la cinematografia e l’opera letteraria di Pasolini non potrà non apprezzare il bel saggio di Claudia Calabrese, “Pasolini e la musica, la musica e Pasolini. Correspondances”, che unisce caratteristiche che raramente si trovano congiunte: rigore documentario, sul versante della filologia cinematografica, letteraria e musicale, acume critico, passione intellettuale e - qualità da non sottovalutare – uno stile espositivo piano, animato da una chiara volontà di comunicazione con il lettore colto ma non specialista. Se dovessi individuare un primo risultato generale della ricerca della Calabrese direi così: la musica nell’arte di Pasolini non è un elemento esornativo esteriore, ma un pilastro portante. A riprova di ciò in epigrafe sono riportati due testi assai significativi: una bellissima poesia in friulano del giovane Pasolini - così bella che la riporto in originale, facendola seguire dalla traduzione italiana - e una affermazione della grande cantante popolare Giovanna Marini. Pasolini: Duma na roba i ài vut tal mond,/ Ma se roba? […] la urela…/ I sintivi i pluvìcs ch’a ciantavIn/ li vôus dai contadins, dai pes-ciadòurs,/ li campanis e li cansonetis… [Solo una cosa ho avuto al mondo. Ma che cosa? […] l’orecchio … sentivo i gabbiani che cantavano, le voci dei contadini, dei pescatori, le campane e le canzonette…] Marini: Allora non avevo mai visto Pasolini e rimasi piacevolmente sorpresa nel notare quanto conoscesse la musica di Bach e come ne parlasse con estrema padronanza e competenza, al punto da farmi avere il sospetto ch’egli fosse un musicista.

Dopo un’introduzione generale il saggio di Claudia Calabrese si articola in cinque capitoli. I primi due (“Il Friuli” e “Roma”) sono incentrati sui primi decenni creativi del poeta; il terzo e il quarto, interessanti soprattutto sul piano della sociologia della musica moderna, sono relativi alle influenze esercitate da Pasolini negli anni Sessanta su musicisti ‘colti’ (Bussotti) o ‘popolari’ (De Carolis); il quinto e ultimo, per me il più affascinante, consiste in un’analisi accurata del breve film di Pasolini, Che cosa sono le nuvole? Un’appendice documentaria, con una serie di intervista ad amici e conoscenti del poeta (Pasolini dopo Pasolini) conclude il libro. Molti sono i risultati notevoli di questa ricerca. Accenno solo ad alcuni che mi hanno particolarmente colpito. Anzitutto, nel primo capitolo, una magnifica analisi del Saggio sullo stile di Bach, scritto da Pasolini nel 1944-1945, in cui il poeta si soffermava in particolare sui movimenti della Siciliana (che il giovane Pasolini chiamava ‘Siciliano’) e dell’Adagio dalla sonata per violino solo BWV 1001 di Bach (il lettore interessato potrà trovare su you tube una splendida esecuzione di Arthur Grumiaux, accompagnata dallo scorrere della partitura). Il testo di Pasolini – che contiene una serie di precise citazioni dallo spartito di Bach, commentate dal poeta, – viene a sua volta commentato con rigore e puntualità dalla Calabrese, che ne mostra la profondità concettuale, basata su una formidabile capacità di intuizione simpatetica che a volte, nonostante qualche imprecisione di dettaglio, permette a Pasolini di anticipare risultati raggiunti dalla ricerca musicologica successiva. Compare qui la dialettica tra ‘Carne’ e ‘Cielo’ che, come dice il prefatore del libro, Stefano La Via, è “destinata a riemergere continuamente … un po’ in tutta la grande opera letteraria e cinematografica di Pasolini” (p.16). Un’altra perla del libro è l’ultimo capitolo, che analizza in modo mirabile Che cosa sono le nuvole?, il breve e geniale film di Pasolini generalmente trascurato (dura una ventina di minuti, è possibile vederlo su you tube). Ne vengono analizzate le complesse radici letterarie (la libera rivisitazione di alcuni momenti centrali dell’Otello di Shakespeare), pittoriche (la citazione iniziale da Las Meniñas di Velasquez), musicali (varie musiche popolari - il Can Can di Offenbach, una ‘marcia funebre bandistica’ di Morricone, musiche popolari anonime - fino alla bella canzone di Modugno, su parole splendide di Pasolini, che funge da piattaforma, per così dire, al sublime adagio finale dal quintetto K. 516 di Mozart) e infine, in senso lato, antropologiche (la quotidianità popolare, per Pasolini portatrice di un’apertura al sacro precedente la grande omologazione, rappresentata ricorrendo ad attori ‘popolari’ come Franco e Ciccio, Ninetto Davoli, Totò, insieme ad altri ‘colti’ come Laura Betti e Adriana Asti). In generale quella che potremmo definire come la funzione iniziatica della musica alta è strettamente, indissolubilmente legata al sentimento del sacro, che dei film di Pasolini, almeno fino a una certa data, è il presupposto e il fondamento. Pasolini parla della duplice ‘applicazione’ della musica, ‘orizzontale’ (“si ha in superficie, lungo le immagini che scorrono: è dunque una linearità e una successività che si applica a un’altra linearità e successività”…) e ‘verticale’ (“ha la sua fonte nella profondità. Quindi più che sul ritmo viene ad agire sul senso stesso”…) (p. 144). Che cosa sono le nuvole? esemplifica questa duplicità. Nella perfetta scena finale del film l’ex burattino Totò, gettato nella discarica, mentre sta morendo pronuncia quelle parole che indicano la sua umanizzazione (“ah, straziante, meravigliosa bellezza del creato …”), mentre un’inquadratura riprende le nuvole alte nel cielo e il meraviglioso attacco dell’adagio dal quintetto K. 516 di Mozart accompagna la scena, costituendo il commento più emotivamente potente di ciò che a parole non si può, in realtà, dire (Wittgenstein). Ma nel film questo tema mozartiano, di un sublime evidente ed arcano, era stato presentato altre tre volte da una compagine esecutiva ‘popolare’ (due mandolini): per questo l’autrice parla di un’”ambiguità della musica di Mozart che si presta bene ad essere usata dal ‘regista di poesia’ come strumento atto a rappresentare contemporaneamente il Sublime e il mondano, la Carne e il Cielo” (p.307).

Ho sentito parlare per la prima volta del bel libro di Claudia Calabrese al mattino presto, su Radio 3, nel corso di una trasmissione che alterna ascolti musicali a proposte di libri. Il maestro indiscusso e insuperato di questa trasmissione era stato Paolo Terni (1932-2015), grande musicologo, uomo di cultura enciclopedica, affabile e amichevole presentatore di libri e soprattutto di dischi (ricordo di aver ascoltato, grazie a lui, un mattino dopo l’altro, praticamente tutte le sonate di Domenico Scarlatti). La fortunata occasione di aver sentito parlare del libro di Claudia Calabrese nella trasmissione in cui Terni signoreggiava mi ha fatto venir voglia di recuperare alcuni dei suoi testi più affascinanti: anzitutto La melodia nascosta (che è già un bellissimo titolo). Il libro si muove su due piani: la memoria autobiografica e la scoperta della musica. Le vicende dell’infanzia e adolescenza dell’autore, di famiglia italiana di origine ebraica, ad Alessandria d’Egitto - una città che fino agli anni Cinquanta del Novecento era un crogiolo di culture, lingue, esperienze del mondo (si ricordino per esempio il nostro Ungaretti o il poeta greco Kavafis) - vengono rievocate in modo divertente, brillante, ironico e nostalgicamente appassionato. L’autore è consapevole del privilegio di essere vissuto in un centro in cui confluivano diverse lingue, occidentali (francese, inglese, italiano, che Paolo Terni padroneggiava con uguale sicurezza) ed orientali (semitiche: cioè arabo, delle persone di servizio e della massa della popolazione circostante, ed ebraico, delle tradizioni religiose di famiglia). L’autore ci rende partecipi del piacere e del carattere inconsueto, diremmo esotico, di questa convivenza attraverso una serie di racconti brevi, quasi fogli d’album, memorabili nella loro concretezza leggera e divertita. All’interno di questa situazione di per sé ricca di stimoli culturali, in una famiglia e in un ambiente intellettualmente dinamici, anzi effervescenti, si afferma un po’ per volta la magia della musica (il secondo piano della narrazione). Terni è bravissimo a raccontare le scoperte, le fascinazioni, i passaggi di percezione nei confronti delle grandi opere della tradizione musicale europea, dal tardo Medioevo fino ai nostri giorni. Seguirlo è una gioia intellettuale: per chi non è molto esperto di musica, ma anche per chi abbia qualche conoscenza, le sue indicazioni musicali sono preziosissime. Perché sono resoconti di un’esperienza, compiuta dall’autore, di fruizione dell’opera d’arte e quindi di gioia, di innalzamento dell’umore, di aumento della vitalità: l’autore ne scrive rivolgendosi al lettore come a un vecchio amico, in tono personale, diretto e coinvolgente (anche questa, aggiungo, è una forma d’arte). Dopo la giovinezza vissuta ad Alessandria d’Egitto Terni si trasferirà in Italia, dapprima per le vacanze estive e poi in via definitiva: e anche qui ci dà dei memorabili ricordi delle diverse persone notevoli con cui ha avuto la fortuna di entrare in comunicazione. Insomma, questo libro è divertente da leggere, allarga il cuore e documenta, nel concreto vissuto, quale possa essere la potenza espressiva e (per)formativa della musica.

w.m.

[Claudia CALABRESE, Pasolini e la musica, la musica e Pasolini. Corresponsances, Diastema, Treviso 2019, pp. 368, 23 euro]

[Paolo TERNI, La melodia nascosta, Bompiani, Milano 2013, pp. 264, 12 euro]

 


Walter Minella - l'autore di questa recensione - ha insegnato storia e filosofia nei Licei. Tra le sue pubblicazioni: Il dibattito sul dispotismo orientale. Cina, Russia e società arcaiche (1991). Ha tradotto il breve saggio di Varlam Tichonovič Šalamov, il grande testimone dei Gulag, Tavola di moltiplicazione per giovani poeti (2012), ha curato la pubblicazione del libro postumo di Pietro Prini, Ventisei secoli nel mondo dei filosofi (2015) e ha scritto la monografia Pietro Prini (2016).

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