Vittorio Strada, Impero e rivoluzione

Vittorio Strada, Impero e rivoluzione

La rivoluzione d’ottobre, cioè la rivoluzione comunista russa del 1917, in realtà si svolse in novembre: la presa del potere da parte dei bolscevichi avvenne il 25 ottobre secondo il vecchio calendario giuliano, che era stato riformato nell’Europa centro-occidentale nel 1582, il 7 novembre secondo il calendario gregoriano, che venne introdotto in Russia solo dal 1˚ gennaio 1918.

Questo dettaglio può essere considerato simbolico dei fraintendimenti che accompagnarono questo sommovimento storico epocale: era normale per gli occidentali (intellettuali e popolani) interpretare la rivoluzione russa alla luce delle teorie occidentali (marxismo, giacobinismo), a cui peraltro i rivoluzionari russi dicevano di ispirarsi. Più difficile invece era capire come queste teorie avessero subito un decisivo cambiamento (si potrebbe parlare di rifrazione o addirittura di diffrazione) penetrando nell’ambiente sociale e culturale russo, per molti aspetti assai diverso rispetto a quello occidentale. Diverso non vuol dire inferiore: si può anzi sostenere che la cultura russa, per un certo periodo, fu intellettualmente più vivace, ricca e stimolante rispetto a quella occidentale, con cui, almeno a partire da Pietro il Grande (1672-1725) si era confrontata e misurata in modo decisivo (si pensi alla straordinaria fioritura della letteratura russa tra Ottocento e inizio Novecento, senza paragoni all’interno della letteratura mondiale). Ma per altri aspetti invece - economico-sociali e soprattutto politico-istituzionali - la Russia prima del 1917 viveva un profondo dualismo tra un polo europeo-pietroburghese (occidentalista) e uno moscovita (slavofilo), di origine bizantina sul piano religioso e di derivazione mongola su quello istituzionale.

La vittoria dei bolscevichi rappresentò una sintesi originale tra vecchio e nuovo: una modernizzazione spinta dell’economia, conseguita nonostante la cacciata della classe borghese, fu accompagnata dalla ricomparsa di forme arcaiche di esercizio del potere (si veda, a riprova di ciò, l’esaltazione dello zar Ivan il Terribile al tempo di Stalin) e da modelli di comportamento e di valore solo superficialmente laicizzati (si pensi solo, per fare un esempio, al culto della mummia di Lenin). In sintesi, nell’affrontare la rivoluzione russa è necessaria una correzione del punto di vista abituale degli occidentali, esterno: bisogna assumere anche un punto di vista interno alla storia russa.

Tra gli studiosi occidentali, un ruolo di primo piano, in questa operazione di trascrizione e decifrazione, spetta all’italiano Vittorio Strada. Illustre slavista, si è dedicato, oltre che alla letteratura, anche alla cultura russa nel senso più lato: per esempio a lui risale, all’inizio degli anni ’70, la traduzione e la presentazione complessiva del dibattito da cui sorse il Che fare? di Lenin (1902). Quest’ultimo a prima vista può sembrare un opuscolo politico tra i tanti che comparivano all’inizio del secolo. In realtà, dal punto di vista dei posteri, è un libro fondamentale perché segna l’atto di nascita del partito totalitario, una delle invenzioni decisive del Novecento. Per questi studi Strada, che veniva dalla cultura politica della sinistra italiana, entrò dapprima in conflitto con le autorità politiche sovietiche, e in seguito fu uno degli intellettuali occidentali più attivi nel sostenere il dissenso russo. Dopo il crollo del regime comunista egli è stato, dal 1992 al 1996, direttore dell’Istituto Italiano di Cultura a Mosca.

Da questo complesso di esperienze nasce, ultimo di una lunga serie, questo libro, Impero e rivoluzione, la cui peculiarità interpretativa sta appunto nell’aver inserito la rivoluzione russa nei tempi lunghi della civiltà-mondo russa (la categoria di civiltà-mondo è stata approfondita da molti storici, fra i quali l’inglese Toynbee e il francese Braudel). Da questo punto di vista, lo slogan di Lenin (il socialismo è soviet + elettrificazione) può essere decifrato così: ‘elettrificazione’ è il raggiungimento dei più elevati risultati tecnico-scientifici dell’Occidente – si tratta quindi di una variante della modernizzazione avvenuta nell’Europa occidentale nel corso di secoli, importata in Russia con la ‘rivoluzione dall’alto’ di Pietro il Grande e ripresa da Lenin e Stalin. ‘Soviet’ implica invece il rifiuto delle istituzioni liberali, di limitazione del potere, tipiche dell’Occidente. Il termine (soviet propriamente vuol dire consiglio) si riferisce a quello che avrebbe dovuto essere il modello alternativo (e superiore) di democrazia dal basso, la cosiddetta democrazia sovietica: un modello che Lenin aveva delineato nel suo scritto Stato e rivoluzione del 1917. Di fatto in tutti i regimi comunisti, non solo in Russia, la cosiddetta democrazia sovietica o popolare ha finito per portare al predominio assoluto del partito unico, il partito totalitario di cui sempre Lenin era stato l’inventore. Insomma, riprendendo il titolo del libro di Vittorio Strada, si potrebbe dire che la rivoluzione comunista ha dato (in Russia come altrove) nuovo slancio all’impero preesistente, trasformandone radicalmente alcuni aspetti ma lasciandone intatta una struttura valoriale di fondo, che si potrebbe sintetizzare così: la demonizzazione del dissenso.

Non è naturalmente possibile entrare nei dettagli di un libro come questo di Strada. Voglio soltanto limitarmi a ricordare la caratterizzazione dell’atteggiamento dei bolscevichi russi compiuta nel 1917 da Nikolaj Aleksandrovič Berdjaev, uno dei più grandi filosofi del Novecento, espulso dalla Russia nel 1922 ed emigrato in Francia. Il brano riportato da Strada appare veramente profetico e anticipa di alcuni decenni le tesi di Aron e di Voegelin: “Il bolscevismo russo è un fenomeno d’ordine religioso, in esso agiscono alcune estreme energie religiose, se per energia religiosa si intende non soltanto ciò che è rivolto a Dio. La surrogazione religiosa, la religione inversa, la pseudoreligione è anch’essa un fenomeno religioso, in questo sta la sua assolutezza, la sua ultimatività, la sua falsa, spettrale pienezza. Il bolscevismo non è politica, non è semplicemente lotta sociale, non è una sfera particolare, differenziata della realtà umana. Il bolscevismo è uno stato dello spirito e un fenomeno dello spirito, una percezione e visione totale del mondo. Il bolscevismo pretende di prendere tutto l’uomo, tutte le sue forze, vuole rispondere a tutte le esigenze dell’uomo, a tutti i tormenti umani […] Come dottrina fanatica, esso non tollera nulla accanto a sé, non vuole dividere nulla con alcuno, vuole essere tutto e in tutto. Il bolscevismo è il socialismo portato a una tensione religiosa e a un esclusivismo religioso” (pp. 21-22).

w.m.

[Vittorio Strada, Impero e rivoluzione, Marsilio, Venezia, 2017]


Walter Minella - l'autore di questa recensione - ha insegnato storia e filosofia nei Licei. Tra le sue pubblicazioni: Il dibattito sul dispotismo orientale. Cina, Russia e società arcaiche (1991). Ha tradotto il breve saggio di Varlam Tichonovič Šalamov, il grande testimone dei Gulag, Tavola di moltiplicazione per giovani poeti (2012), ha curato la pubblicazione del libro postumo di Pietro Prini, Ventisei secoli nel mondo dei filosofi (2015) e ha scritto la monografia Pietro Prini (2016).

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