Enzo Bianchi, Gesù e le donne

Enzo Bianchi, Gesù e le donne

Una delle prove del carattere eccezionale ed unico della figura di Gesù è il suo comportamento verso le donne. Egli nasce e si forma nella cultura ebraica, che è fortemente patriarcale e maschilista. E' vero che in essa si trovano ritratti di donne energiche e coraggiose, come per esempio Sara, Rebecca, Tamar, Giuditta, Ester… Ma è altrettanto vero che l'atteggiamento di gran lunga prevalente è la sottovalutazione radicale del genio femminile. Un solo esempio tra i molti che si potrebbero citare: "Diceva Rabbi Eliezer: 'chiunque insegna la Torah /la legge/ a sua figlia è come se le insegnasse cose sporche' (Mischnah, Sotah, 3,4), e il commento a questa affermazione recita: 'Meglio bruciare le parole della Torah che insegnarle alle donne' (Talmud palestinese, Sotah, 2,4,19a)" (p.12). E, ancor oggi, l'ebreo osservante recita la benedizione: "Benedetto il Signore che non mi ha creato pagano, né donna, né schiavo", mentre alle donne era (ed è) richiesta una preghiera di rassegnazione: "Benedetto il Signore che liberamente mi ha voluta e creata come sono" (p. 13).
Non così Gesù. I resoconti dei suoi incontri con le donne, attestati dai Vangeli, sono eloquenti. Ovunque risuona una nota, o meglio un'armonia di comprensione, affetto, simpatia che è introvabile altrove. Si considerino, nei primi tre Vangeli,  la guarigione della donna malata di emorragia uterina, che risulta tanto più straordinaria se si ricorda che nella tradizione ebraica le donne che avevano le mestruazioni erano considerate impure e non potevano toccare alcun oggetto né essere toccate da nessuno, perché rendevano impuro l'oggetto e la persona; il caso della donna straniera (doppio tabù!) che, con la sua preghiera insistente convince Gesù a donare il suo messaggio di salvezza e di gioia anche al di fuori di Israele; l'episodio della vedova di Nain, dove è più chiara la derivazione del Dio di Gesù dal Dio di Israele, "Padre degli orfani e Difensore delle vedove"; la peccatrice in casa di Simone il fariseo, quella che piangendo baciava i piedi di Gesù, li ungeva di profumo e li asciugava con i capelli; le sorelle Marta e Maria; la donna curva, guarita di sabato; la vedova povera, che getta nel tesoro due spiccioli; la donna anonima che unge Gesù a Betania… Infine, dice Enzo Bianchi, "le donne apostole del Risorto". Commenta l'autore: "le donne discepole, prime destinatarie dell'annuncio pasquale, diventano apostole, cioè inviate dal Risorto stesso agli undici apostoli per portare loro la buona notizia"…: 'Gesù Cristo è risorto ed è vivente per sempre'". (66) Noi sappiamo che per la tradizione ecclesiastica le donne non erano apostole, ma al massimo seguaci, ascoltatrici, servitrici: ed è con questa motivazione di fondo che la Chiesa cattolica e quella ortodossa hanno sempre negato il sacerdozio femminile. Il ricorso da parte di Enzo Bianchi a un termine così impegnativo come apostole – e la sua sottolineatura del ruolo di "Maria di Magdala, apostola degli apostoli", secondo un'antica definizione,  nel quarto Vangelo (pp.106 sg. ) – fanno pensare che l'autore, priore di Bose ben noto per la sua profonda fede cattolica e la sua altrettanto profonda cultura, non sia d'accordo con la giustificazione tradizionale di questa chiusura, anche se questa implicazione è più accennata che apertamente dichiarata.  Del resto le cose si stanno muovendo nel mondo cattolico, sia pur lentamente: papa Francesco ha appena istituito una commissione per vagliare se concedere il diaconato alle donne, che è attestato come normale nel primo cristianesimo (cfr. nella Lettera ai Romani di Paolo il riferimento a "Febe, diaconessa della Chiesa di Cancre", Rm 16,1). Quali sono le ragioni di fondo di queste chiusure delle istituzioni ecclesiastiche? L'ipotesi che propone Enzo Bianchi, sulla base della letteratura specialistica, può essere ridotta così ai suoi termini più semplici: Gesù non è eversivo soltanto rispetto alla tradizione patriarcale ebraica, lo è anche rispetto a quella greco-romana, altrettanto patriarcale, in cui la Chiesa si sviluppa. Da questo duplice condizionamento nasce la tendenza a presentare, o a ripensare, il rapporto di Gesù con le donne in modo meno radicale, più sfumato, più comprensibile nei codici di quelle culture – quindi, senza esagerare. Ma Gesù esagerava. A riprova di questo, si consideri uno dei passi più toccanti di tutti i Vangeli, il caso della donna sorpresa in adulterio ("Nessuno ti ha condannata?... Neanch'io ti condanno. Va' e d'ora in poi non peccare più", Gv 8.1-11). Ebbene, "questo brano ha conosciuto una sorte particolarissima, che attesta il suo carattere scandaloso e imbarazzante: è stato infatti 'censurato' dalla Chiesa! E' assente nei manoscritti più antichi, è ignorato dai padri latini fino al IV secolo, per cinque secoli non è stato proclamato nella liturgia e non ci sono commenti ad esso da parte dei padri greci del primo millennio. Al termine di un lungo e travagliato migrare tra i manoscritti è stato inserito nel vangelo secondo Giovanni…" (p. 86). Non possiamo dilungarci oltre nel presentare questo libro. Possiamo solo consigliare di leggerlo. E' una testimonianza esemplare di chi è capace di ritornare con profonda condivisione e rigore critico alle fonti della tradizione cristiana, senza i paraocchi del tradizionalismo (che è cosa diversa, e talvolta opposta, rispetto alla tradizione).

w.m.

[Enzo Bianchi, Gesù e le donne, Einaudi, Torino, 2016]


Walter Minella - l'autore di questa recensione - ha insegnato storia e filosofia nei Licei. Tra le sue pubblicazioni: Il dibattito sul dispotismo orientale. Cina, Russia e società arcaiche (1991). Ha tradotto il breve saggio di Varlam Tichonovič Šalamov, il grande testimone dei Gulag, Tavola di moltiplicazione per giovani poeti (2012), ha curato la pubblicazione del libro postumo di Pietro Prini, Ventisei secoli nel mondo dei filosofi (2015) e ha scritto la monografia Pietro Prini (2016).

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