Ho sempre apprezzato Gabriella Caramore, sia come conduttrice della rubrica Uomini e profeti su Rai 3 sia come conferenziera (lho sentita a un convegno di Torino spiritualità cui mi è capitato di partecipare).
Ora lho scoperta anche come scrittrice. Nel suo ultimo libro, La parola Dio, lautrice, esperta di religioni e di comunicazione, si chiede, dopo aver esaminato quanto di umano cè nella parola Dio, cosa resti di quellinnegabilebisogno di spiritualità che sta al fondo di essa. Un po di storia può essere di aiuto. Le prime tracce di religiosità sono collegate alla sepoltura dei morti, non perché ci si preoccupasse più della morte che della vita ma perchéproprio la prepotente fame di vita era (ed è ancora) la forza che muoveva lumano ad andare al di là dellumano. Del resto tutte le formule di preghiera, gli inni delle civiltà arcaiche sono in forme diverse propiziatori di vita. E la vita su questa terra il centro della preoccupazione del pensiero religioso. Ma la vita non può essere limitata alla sussistenza biologica. E così sorge il pensiero del divino, qualcosa e qualcuno che possa soccorrere nelle difficoltà, che spieghi linsensato, tramuti le ferite in gioia, ripari il male, dia ragione allo sfregio della morte. Lautrice si chiede come sia stato possibile unificare tante realtà diverse,passando dal nome generico dato a molteplici dei a un unico Dio. E indaga se e come nei nostri tempi di tecnologie allavanguardia ci sia ancora qualcosa di indecifrabile,misterioso, sfuggente alla nostra logica razionale. La sua ricerca sul nome di Dio attraversa diverse tradizioni da quella giudaica a quella cristiana, da quella taoista a quella induista.
I nomi di Dio sono tanti perché tante sono le manifestazioni del divino nel mondo e tanti sono i nomi che gli umani hanno escogitato per esprimere la loro nostalgia del Bene e per accostarsi a ciò che non riescono a comprendere. Nella tradizione giudaica è stato elaborato il concetto di un Dio unico, un Dio di misericordia e di giustizia, capace di condonare e consolare, di punire e pentirsi, che imponeprecetti e invita alla libertà. E un Dio che benedice e maledice, che si addolora e che gioisce, che parteggia per il suo popolo, gli ebrei, ma che negli sviluppi del giudaismo si rivolge a tutta lumanità. Si potrebbe dire che è un Dio troppo simile alla volubilità degli uomini? Egli vive dentro le contraddizioni dellumano, a cui vuole garantire legge e libertà, in bilico tra caos e armonia. Per metterne in risalto lalterità, le religioni abramitiche (ebraismo, cristianesimo, islam) hanno sempre sostenuto che Dio non è definibile, è ineffabile, perché nessuna parola lo può contenere (lislamismo ha parlato di 99 nomi di Dio). Daltra parte il pantheon induista elenca migliaia di dei (anche se forse alla base sta lintuizione di un unico Dio). Si può trarre la conclusione che le diverse civiltà hanno pensato e nominatoDio nella contingenza della situazione in cui vivevano.Ciascuna ha fatto di Dio il suo idolo, la sua bandiera, il suo nume protettore. Dio è stato frammentato in tanti piccoli dei, finché la modernità ha cercato di sbarazzarsene passando ad altri enigmi, scoprendo nuove profondità. Ma la nostalgia di Dio rimane. Ciascuno di noi può nella propria memoria nominare Dio come fuoco, come vento, come ombra, come sogno, come angelo, come amore, associandolo a immagini sfocate Perché è con le immagini e le parole che si costruiscono i pensieri. E la passione per la vita, per lEssere, la forza che ci coinvolge, volenti o nolenti, in questa incessante ricerca. E il Dio umano che dà figura allo sforzo dellumanità per diventare umana. Per questo mi piace lidea di un Dio incarnato, che vive dentro la carne dellumanità. Ci vuoleperò la parola chiara di Gesù nei vangeli per ribadire la verità che era già contenuta nei testi antichi: di essere tutti figli e figlie, perciò fratelli e sorelle, appartenenti a una sola umanità. Ne deriva la figura di Cristo più come fratello che come Signore. La comunità è una vita di fraternità e nessuna istituzione la potrà mai sostituire. Padre Balducciricordava che il destino del cristianesimo si identifica, nella buona e nella cattiva sorte, con quello dellordine planetario, creato e gestito da noi.
Oggi siamo costretti a chiederci se il cristianesimo storico non sia in procinto di doversi riconoscere come provvisorio.Nei conflitti della storia, nella memoria di persecuzioni e genocidi ci chiediamo se la figura di Cristo (che non ha fondato alcuna chiesa e tanto meno inventato il cristianesimo) possa ancora mostrarci che un altro mondo, un altro Regno è possibile. Con il quarto secolo i cristiani,fortemente sostenuti dal potere politico, divennero il sostegno ideologico unificatore dellImpero dOccidente. Ma, spiega la Caramore, non si è mai spezzato nel corso dei secoli lesercizio di sapienza intorno ai testi sacri antichi e nuovi: si è succeduto, di generazione in generazione, un ininterrotto fiume carsico di uomini e donne interroganti pronti a dare la vita per la bontà e la bellezza. Migliaia di mistici hanno dato seguito alla parola evangelica: donare ciò che si ha a chi non ha nulla, provare a costruire un regno in cui la vita di ciascun uomo e ciascuna donna valga più dei beni terreni, la libertà più del profitto, lamore più della morte.
Occorre cercare di comprendere le sacre scritture, quelle cristiane e quelle delle altre religioni, alla luce della propriaesperienza. Oggi serve sperimentare lincertezza del conoscere in campo scientifico, psicologico, filosofico. Mada questo scacco possono nascere grandi costruzioni di pensiero. Oggi noi sappiamo che la nostra vulnerabilità interessa anche tutte le strutture materiali, che non sono certo immortali. La fragilità che abbiamo in comune con le cose ci può spingere a fare sogni umani, imperfetti e poetici.
Che cosa resta di Dio, si chiede la Chiaramore ? E così si risponde: Non è importante salvare a tutti i costi le religioni.E importante salvare lidea di bene comune che hannosaputo custodire e trasmettere, una memoria di tenerezza e di pietà, la capacità di contrastare storture nelle relazioni umane e di creare bellezza. Nessuna istituzione particolare è nella situazione sacerdotale di poter dire a tutti una verità su tutto. Occorre ritrovare nellesperienza religiosa la forma di un rischio, il dovere di una intelligenza critica, landatura di un viaggio abramitico, lidea che vi possa essere giustizia per i popoli e per gli individui, liberazione per i deboli, che si possa costruire comunità. Che allaltro del noi venga dovuto lo stesso amore che è dovuto a ciascun vivente.
m.g.
[Gabriella CARAMORE, La parola Dio, Einaudi, Torino 2019, euro 12]
Marta Ghezzi - autrice di questa recensione - è pensionata, scrittrice, già dirigente dei servizi sociali nel Comune di Pavia e impegnata come volontaria in movimenti eco femministi per il dialogo interreligioso e interculturale. Ha al suo attivo oltre 16 pubblicazioni. E amante della letteratura narrativa, poetica, saggistica -, con particolare interesse per la teologia femminista.