Franco Faggiani: "Basta un filo di vento"


Franco Faggiani, Basta un filo di vento, Fazi Editore, 2024

Il nuovo romanzo di Franco Faggiani, come i precedenti edito da Fazi, ci porta nelle colline dell’Oltrepò Pavese in un’azienda agricola, la Conventina, che assomiglia più a un feudo che ad una realtà odierna:è una tenuta di oltre mille ettari con ventidue cascine fiorenti, abitate da generazioni di fittavoli. Al centro dell’immensa proprietà che sconfina in Emilia e in Piemonte sta una villa settecentesca in cui vivono da quattrocento anni i proprietari del latifondo, i Bajocchi del Drago, elevati al rango di conti per meriti ottenuti durante la battaglia del grano con decreto di Mussolini. Aristocrazia, dell’ultimissima ora, dunque, che non impedì al padre del protagonista di svolgere fiorente attività di notaio nel capoluogo lombardo.
Il romanzo si apre con le riflessioni di Gregorio Bajocchi, voce narrante, ultimo proprietario della Conventina, ultracinquantenne, anch’egli come il genitore, impegnato in una professione liberale a cui accompagna la cura della grande tenuta. La gestione economica della stessa è affidata da decenni ad un’espertissima contabile, nubile ed arcigna, mentre quella agricola, comprendente l’innovazione agraria e la viticultura, a Massino, un quasi fratello perché il Bajocchi, rimasto orfano a diciassette anni, venne accudito, su indicazione testamentaria, dai genitori dell’amico, fittavoli nella proprietà, fino al raggiungimento della laurea quando finalmente poté prendere in mano l’azienda.
Gregorio Bajocchi, legatissimo a questa impresa che, oltre ad essere un’attività economica di primo rango, costituisce una comunità rurale viva e solidale si trova ora davanti ad un dilemma: una società francese, tramite un mediatore, ha fatto un’offerta difficile da ignorare: novanta milioni di euro per rilevare tutto e trasformare vigne e coltivazioni in campi da golf, le cascine in resort, la villa in Grand Hotel.
Il romanzo parte da qui e ripercorre i mesi in cui il protagonista deve affrontare l’onere di questa scelta; col gioco dei ricordi, ci fornisce un affresco di quel che è stata la sua vita: un matrimonio giovanile finito male, un figlio in Germania con cui ha interrotto i contatti, il ritorno alla Conventina di una ragazza, figlia di agricoltori, rimasta assente per trent’anni, il serrato corteggiamento di Gregorio nei confronti di quest’ultima e il loro matrimonio da ultracinquantenni festeggiato dalla comunità rurale.
Le storie raccontate nel romanzo sono semplici, se vogliamo, legate fra loro da un susseguirsi di eventi che paiono guidati da una mano invisibile, una specie di provvidenza innominata che alla fine, in mezzo ai lutti e alle difficoltà, sembra sempre far quadrare i conti al positivo. Si direbbe una teologia laica che metta avanti alcuni imperativi: accogliere l’altro, accudirlo, combattere contro una visione autoriferita dell’esistenza. A volte, nel testo, queste regole di vita vengono anche esplicitate dai personaggi in dialoghi non sempre credibili, ogni tanto intervallati da battute in dialetto lombardo che da sole, almeno in certi punti, non bastano a dare autenticità al parlato. Ce ne sarebbe a sufficienza per dire che ci troviamo davanti ad una prosa banale e, a dire il vero, in alcuni momenti durante la lettura l’ho anche pensato, ma il romanzo ti trascina avanti avvolgendoti nelle sue spire. Alla fine, ho realizzato che alcune fragilità stilistiche fungono da punti di forza del libro stesso e che si arriva al finale con una certa commozione.
Probabilmente, la narrativa di Faggiani piace perché sa intessere delle favole belle che dispensano al lettore un po’ di conforto, quel che tutti vorrebbero sentire in qualsiasi fase si trovino del loro cammino.
Forse è così, ma c’è dell’altro.
La forza e il fascino di queste pagine sta nella magistrale e partecipata descrizione della natura e del lavoro agricolo: i paesaggi naturali accompagnano gli eventi, non da contorno, ma da protagonisti. I cicli stagionali, nella varietà di flora e fauna, nel loro equilibrio non ancora incrinato sembrano guidare la storia.
Il volo di uno stormo di uccelli migratori è descritto a pennellate lievi, ma così sicure da lasciare incantati e così pure le affascinanti descrizioni delle colline che increspano l’orizzonte dell’Oltrepò Pavese.
Non è una provvidenza manzoniana a guidare la vita di questi personaggi, sembrerebbe piuttosto l’influsso rigenerante e benigno di una mater natura dai contorni innominati e pagani. Sembra esser lei a forgiare le anime e i destini di questa comunità così poco credibile, così incredibilmente rousseauiana, che contorna l’esistenza del Bajocchi e degli altri protagonisti di questo insolito romanzo che merita, comunque, di essere letto.

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Luigi Dell'Orbo, nato nel 1962 in provincia di Pavia, vive da decenni in Piemonte, tenendo comunque vive le proprie radici lombarde.
Lettore appassionato e puntuale si occupa prevalentemente di narrativa italiana contemporanea.

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