Pia Pera, Al giardino ancora non l'ho detto

Pia Pera, Al giardino ancora non l'ho detto

Al giardino ancora non l’ho detto è un libro delicato e profondo, “bellissimo e struggente”, lo definisce Serena Dandini. Il pretesto, o forse meglio il contesto, è costituito dal racconto minuzioso che l’autrice fa della propria malattia, che l’avrebbe condotta a morte. Molti di noi, credo, vivrebbero questo destino con un profondo senso di quella disperazione che impedisce di pensare, scrivere, aprire gli occhi di fronte alla realtà, fissando soltanto il muro della malattia che avanza giorno dopo giorno e ti rinchiude in uno spazio sempre più esiguo. Non così Pia Pera. Come dice Chiara Gamberale, “Pia Pera ritaglia dai bordi della malattia - sua, ma anche dell’essere umano in quanto tale – una terra di luce e libertà.” E questo perché era una donna straordinaria, dotata di profonda cultura ( poliglotta, specialista in slavistica, docente di russo, traduttrice di classici fondamentali della letteratura russa), ma soprattutto capace di sentire e di comunicare il fascino segreto della bellezza, tanto più toccante quanto più effimera. “La leggerezza interiore nasce forse dal sentirmi libera dalla zavorra terribile del futuro, indifferente al cruccio del passato. Immersa nell’attimo presente, come prima mai era accaduto, faccio finalmente parte del giardino, di quel mondo fluttuante di trasformazioni continue”. (Il riferimento al giardino nasce da una passione dell’autrice, che era diventata una delle massime specialiste italiane di giardini, a cui aveva dedicato diversi libri). Un giardino tutto suo, bellissimo, enorme, aveva Piera Pera: ed esso ritorna nel titolo del libro, che riprende una splendida poesia della Dickinson. Nella traduzione della scrittrice italiana: “Al giardino ancora non l’ho detto - / non ce la farei. / Nemmeno ho la forza adesso / di confessarlo all’ape. / Non ne farò parola per strada / le vetrine mi guarderebbero fisso / che una tanto timida – tanto ignara / abbia l’audacia di morire. / Non devono saperlo le colline – / dove ho tanto vagabondato - / né va detto alle foreste amanti / il giorno che me ne andrò - / e non lo si sussurri a tavola - / né lo si accenni sbadati, en passant, / che qualcuno oggi, / penetrerà dentro l’Ignoto.Per concludere, la citazione, posta in exergo, di un’altra bellissima poesia di Stevenson: And does it not seem hard to you / When all the sky is clear and blue /, And I should like so much to play, / To have to go to bed by day? (E non ti sembra difficile / quando il cielo è chiaro e blu / e mi piacerebbe tanto giocare / dover andare a letto di giorno?)

w.m.

[Pia Pera, Al giardino ancora non l’ho detto, Ponte alle Grazie, Milano, 2016]


Walter Minella - l'autore di questa recensione - ha insegnato storia e filosofia nei Licei. Tra le sue pubblicazioni: Il dibattito sul dispotismo orientale. Cina, Russia e società arcaiche (1991). Ha tradotto il breve saggio di Varlam Tichonovič Šalamov, il grande testimone dei Gulag, Tavola di moltiplicazione per giovani poeti (2012), ha curato la pubblicazione del libro postumo di Pietro Prini, Ventisei secoli nel mondo dei filosofi (2015) e ha scritto la monografia Pietro Prini (2016).

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