Lo sguardo speciale dell'artista su di un mondo 'altro'


"Selvaggia e aspra e forte" è la selva dantesca, ma qui è la selva del Chaco, un'ampia area di grandi fiumi, lagune, vegetazione lussureggiante, compresa tra Argentina, Paraguay, Bolivia e Brasile, in cui si inoltra sempre più profondamente, spinto da un impulso irrefrenabile, il protagonista di questo romanzo, Guido Boggiani.

Boggiani non è un personaggio di fantasia. Vissuto nella seconda metà dell'Ottocento, inizialmente pittore paesaggista di un certo successo, enfant gaté nella buona società dell'Italia umbertina, porta in sé inquietudini che lo spingono verso un ignoto 'altro', verso avventurose lontananze: raggiunge nel 1887 l'Argentina, ancora in buona parte terra da esplorare. Qui entra a Buenos Aires nei circoli giusti, da artista dotato di mezzi e relazioni, ma, nonostante qualche cenno a velleità imprenditoriali, non più di un alibi, si dirige quasi subito verso il Paraguay, lungo il grande fiume dello stesso nome, fino al Gran Chaco, una regione al confine del cosiddetto mondo civile, dove il governo, dopo la terribile guerra della Triplice, ha dato larghe concessioni terriere a spregiudicati colonizzatori di ogni provenienza, senza alcuna considerazione per i nativi.

Come la selva dantesca, quella che attira irresistibilmente Boggiani si rivela prima di tutto luogo simbolo di una crisi esistenziale, da cui si svilupperà un nuovo inizio, una riscoperta del suo Io più autentico. In Paraguay vivrà - con l'intervallo di un ritorno in patria dal '93 al '96 - per dieci anni complessivi, offrendo nuovi più vasti orizzonti alla sua attività di pittore e scoprendosi contemporaneamente appassionato etnologo, profondamente interessato alle culture degli indigeni, in particolare Chamacoco e Caduvei, di cui sarà ritrattista, studioso, divulgatore, geniale fotografo.

Contro le consuetudini dei suoi contemporanei, affaristi o studiosi che fossero, si rifiuterà di segnare una distanza tra sé e questo mondo che ama e ammira, perché "C'è un solo modo per comprendere un'altra cultura. Viverla. Trasferirsi in essa, pregare di essere sopportato come ospite, imparare la lingua. Così forse prima o poi arriverà la comprensione che sarà sempre muta. Nell'istante in cui si comprende l'estraneo, si perde infatti il bisogno di spiegarlo."

Questa bella, originale avventura umana terminerà bruscamente nel 1901, quando Boggiani sparirà misteriosamente nel corso di un'esplorazione in un angolo remoto del Chaco, per essere ritrovato cadavere barbaramente ucciso e smembrato qualche mese dopo.

I romanzi di Laura Pariani nascono da un innamoramento. Si è innamorata quando ha incontrato casualmente gli acquerelli e le fotografie non banali di questo artista caduto nell'oblio, e poi si è innamorata della sua storia e del suo sguardo speciale sul mondo. in cui ha riconosciuto qualcosa che la toccava profondamente, perché, come fa dire nel romanzo a Georges Hérelle, il traduttore di D'Annunzio, che ha conosciuto Guido nel corso di una crociera in Grecia: "Un artista - che sia pittore, fotografo, attore o scrittore poco importa - ha sempre uno sguardo speciale, anzi bisogna proprio che ce l'abbia: deve essere spinto da una specie di follia amorosa per fare il suo lavoro."

Di qui un'originale biografia che non ha nulla delle biografie classiche, sviluppandosi sul doppio binario di Guido Boggiani che cerca di raggiungere e vivere integralmente un mondo 'altro', fuori da una vita segnata dalle convenzioni borghesi e dai facili miti delle "magnifiche sorti e progressive" del suo secolo, e dell'Autrice che cerca a sua volta una forma di narrazione 'altra' , che consenta a lei e al suo lettore un modo diverso di penetrare il senso più profondo di una originale esperienza umana. Ciò è tanto più interessante quanto più l'Autrice non fugge dai dati fattuali, dalla 'storia vera' del soggetto, ma si sforza di mantenere costantemente un difficile equilibrio tra approccio razionale e scrupolo documentario da una parte e condivisione appassionata e 'sensoriale' dall'altra.

Quali sono le caratteristiche di questa strategia narrativa di duplice full immersion? In primo luogo entriamo con questo romanzo in un contesto ambientale di una fisicità estremamente espressiva, in cui immagini, visioni oniriche, suoni, odori, sapori, più che essere raccontati, si accalcano e si fondono simbioticamente sulla pagina scritta. Ha raccontato la Pariani, in una intervista, che è solita scrivere e disegnare in parallelo scene dei suoi romanzi: questo rende perfettamente la natura fortemente visuale, multisensoriale del suo stile. Lo percepiamo a partire dalla copertina stessa del libro, dove i grandi e lussureggianti fiori carnivori divoratori di uomini di Uta Woodruff invadono la scena, prodromo della vitalità selvaggia del Gran Chaco che sarà tanta parte del libro. Anche il tempo nel romanzo si moltiplica intorno a noi, nella coesistenza di un fin troppo incombente tempo storico con le sue pressioni verso la 'modernità' e il 'progresso', con il tempo immobile del mito e delle leggende e fin dell'epica omerica, che ossessionano Guido e tornano insistenti a minare certezze e razionalità discutibili. Ma la narrazione è pluridimensionale sotto altri importanti aspetti: la ricostruzione della personalità e della storia di Guido non è monolineare, ma frammentata e ricomposta via via, sia attraverso la voce del protagonista, sia attraverso gli "indizi" forniti da una pluralità di voci diverse che l'autrice immagina come co-narratori. Ciascuno di essi fornisce al lector in fabula un pezzo del puzzle, partendo dalla sua esperienza, dal suo linguaggio, che ha toni, sintassi e lessico tutti diversi. E last, but not least, l'indagine si chiude con la rivendicazione di foscoliana memoria che anche una sconfitta può essere una specie di vittoria, se quel che conta è il percorso e se trova il suo 'cantore' per il tempo a venire. Questo caleidoscopio, che sfida da molteplici punti di vista il lettore, è impresa ardua da gestire, non è esente da qualche forzatura nella mimesi di diversi linguaggi, nell'ingresso di temi un po' gratuiti, nell'eco insistente di richiami letterari, ma è tuttavia decisamente originale e interessante.

Ma entriamo brevemente nella trama vera e propria. Il racconto potrebbe configurarsi a prima vista come una classica inchiesta investigativa su di un cold case. Incontriamo all'inizio l'Autrice a Bahia Negra, nell'Alto Paraguay, al margine del Gran Chaco; è il 2008 e lei si è temporaneamente trasferita in questo posto sperduto per trovare la verità sulla tragica fine di Guido Boggiani, su cui sono state fornite a suo tempo versioni ben poco convincenti e non risolutive. Impresa disperata di fronte ad un muro di omertà, o paura, o ignoranza, o timore panico di fronte a misteri ancestrali che non vanno violati. Scoraggiata, ma non vinta, l'Autrice si decide a ripercorrere, nella documentazione che ha raccolto e che può ancora raccogliere,"indizi" che possano far luce sulle motivazioni vicine e lontane che hanno portato il suo protagonista nella selva del Chaco e hanno segnato il suo destino. Entrano in gioco i "testimoni non neutrali", che la Pariani convoca ad uno ad uno sulla sua pagina, gente la più disparata che in qualche maniera lo ha incrociato lungo il percorso di vita, a partire dall'infanzia e prima giovinezza in Italia, e poi nel corso della sua avventura in America latina, perplessi o empatici, amici o ostili, comprensivi o ottusi, ma tutti appunto, 'non neutrali', toccati dalla sua personalità, emotivamente coinvolti dall'incontro. E così si rivela pezzo per pezzo, nello sguardo di altri, nell'incontro con altre storie ciascuna a suo modo determinante, la crescita nel tempo del sogno di Guido, dai primi segni di un approccio cercato e amato con la natura, dalle suggestioni delle leggende e dei miti, dalla volontà di evasione da una realtà ingessata, sino alla decisione di tentare la sua avventura "ulisside" nella selva paraguayana. Qui lo sguardo dell'artista coglierà subito il fascino di una bellezza primordiale, pur nelle estenuanti condizioni climatiche e nell'incontro-scontro con le durezze di vita; libero da pregiudizi, aperto e curioso, vorrà penetrare più che può le culture degli indios che hanno convissuto e convivono con questa bellezza preservandone le caratteristiche, in un rapporto perfettamente simbiotico, sacrale, con la natura, così diverso dalla logica di sfruttamento cieco dei burocrati, dei politici, dei coloni bianchi. A questi ultimi, egli appare protagonista di una stranezza dopo l'altra: si fa amico degli indios disprezzati e sfruttati, diventa loro protettore, è insofferente degli approcci dell'antropometria lombrosiana nei loro confronti, arriva a vestirsi sommariamente e a decorare il corpo come loro. Gli stessi indios, pur simpatetici, sentono che la distanza tra lui e loro non si può colmare del tutto: Boggiani resterà fino alla fine per loro "patrão Boyani", un padrone. I bianchi lo etichettano al meglio come bizzarro, privo di buon senso proprio perché artista, incapace di capire che il progresso richiede il sacrificio del "selvaggiume". Ma, imprudenza massima, finisce con il creare ostacoli a lucrosi affari che coloni spregiudicati attuano o progettano a spese degli indigeni e dell'ambiente. È stato toccato il punto chiave. L'Autrice ha raccolto abbastanza indizi per porsi infine le "domande giuste".

La seconda parte del romanzo, aperta con l'entrata in scena di un ulteriore testimone, il sicario Agripino "Satan" Aguirre, convocato dall'inferocito padrone di una piantagione di mate, offre l'indizio decisivo. L'ormai pericoloso Boggiani - insinua Agripino - sta per offrire un'occasione unica per sbarazzarsi di lui, spingendosi con una spedizione esplorativa nel Chaco più profondo. Noi sappiamo già quale attrazione eserciti su Guido questa ulteriore spinta verso l'ignoto, verso indios che nessuno ha mai incontrato. Saranno i Moros, o saranno i favolosi Pitáyovai dai piedi senza dita, così stranamente simili ai cucitt, gli gnomi della favola della sua lontana infanzia? Quel che è certo è che Guido non esiterà ad inseguire fino in fondo il suo sogno.

Nell'ultima parte l'Autrice riconsegna il racconto nelle mani della figura 'ricomposta' del suo protagonista, in viaggio ancora una volta verso l'ignoto con l'amico indio Gavilán. Una successione calibratissima di momenti scandisce la narrazione. All'inizio un clima di aspettativa e tensione estenuata, febbricitante e percorsa da brividi di paura, è come una premonizione. Si manifesta vicinissima una minaccia che si annuncia con grida violente (i Pitáyovai?), ma misteriosamente si allontana e scompare. Poi una strana pace, un intermezzo di silenzio e di sonno profondo in una "notte di stelle gialle come miele fuso". Un brusco risveglio di Guido si apre sulla deflagrazione di una aggressione cieca e violenta, in un crescendo incalzante, che colpisce, trascina, fracassa tutto. Insieme alla percezione di quel che sta succedendo, e dell'estraneità degli indios a quello scempio, il personaggio è travolto da un'onda confusa e vorticosa di ricordi che riassume una vita in pochi attimi e dalla sensazione semicosciente di chiudere un cerchio, di avvicinarsi al suo fine "...il corpo gli si è fatto pesante, dai suoi piedi cominciano a spuntare radici che si aggrappano alle sporgenze del pozzo come un'infinita telaragna attraverso cui sente palpitare il polso dell'universo intero", fino ad una vera e propria esplosione finale: "...ribolle il fiato dei draghi sul fondo delle caverne del lago, crollano termitai giganteschi color terracotta, esplodono le stelle, vortica il cappello d'argento dei cucitt". In una sorta di vertigine cosmica, il protagonista si ricongiunge finalmente con quella terra in cui ha voluto da sempre immedesimarsi e perdersi. Come recita Walt Whitman nell'esergo, "...Vi hanno detto che è bene vincere le battaglie? / Vi assicuro che è anche bene soccombere, che le battaglie sono perdute nello stesso spirito in cui vengono vinte".

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[Laura Pariani, Selvaggia e aspra e forte, La nave di Teseo, Milano 2023, pp. 365.]

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Marisa Trigari è stata insegnante di Lettere nelle scuole superiori e successivamente responsabile della Sezione di documentazione bibliografica nazionale e internazionale e delle Biblioteche scolastiche nell'Istituto Nazionale di Documentazione Innovazione Ricerca Educativa (INDIRE). In questo campo si è occupata in particolare di storia dell'educazione, di strategie e linguaggi di documentazione e della costruzione di banche dati on-line.

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Immagini utilizzate: la foto di Guido Boggiani è tratta dal video “Verbania riscopre l'opera di Guido Boggiani, pittore ed etnografo”[https://www.rainews.it/tgr/piemonte/video/2024/06/boggiani-verbania-paesaggio-pittura-e3dbd19f-f8b5-40a8-82d1-a42869e65f2d.html] - RaiNews · Elisabetta Terigi, montaggio di Paolo Monchieri (2024); il trittico dipinto da Guido Boggiani nella regione del Chaco paraguayano è stato esposto nella Mostra “Guido Boggiani. Più oltre, più oltre nel nuovo”[ https://www.itinerarinellarte.it/it/mostre/guido-boggiani-piu-oltre-piu-oltre-nel-nuovo-9109] - Museo del Paesaggio di Verbania; le foto - scattate da Guido Boggiani – di una donna Caduveo e di un uomo Chamacoco sono tratte da “Pueblos originarios - Biografìas” [https://pueblosoriginarios.com/biografias/boggiani.html]

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