Tre libri sul '68

Tre libri sul '68

Siamo arrivati al cinquantesimo anniversario del '68. Non è facile parlarne. Le persone come me che vi parteciparono navigano verso i 70 anni, se non li hanno già superati, e hanno la comprensibile tendenza a enfatizzare l’importanza di quel momento storico, che per loro è fuso con il ricordo della giovinezza. Invece i giovani, o le persone di mezza età, probabilmente ne hanno una percezione distorta, se addirittura non lo ignorano del tutto. In sintesi il ‘68 fu un movimento internazionale che percorse l’Europa, anzi si potrebbe dire il mondo intero, e che, accanto a caratteristiche comuni, ebbe in ogni paese tratti peculiari (da noi per esempio si prolungò per almeno un decennio, mentre in altri paesi si risolse - o fu dissolto - molto rapidamente). Era cominciato come un movimento contro l’autoritarismo – in Italia contro una società in cui prevaleva ancora una cultura tradizionalista che si scontrava con l’iniziale modernizzazione economica (ogni persona di una certa età potrebbe raccontare qualche episodio significativo). Rispetto a ciò il movimento del ’68 costituì un energico richiamo all’autonomia, alla responsabilità, alla libera decisione basata sulla domanda: perché si deve fare così? Con quale ragione? Oggi diremmo che si trattava di un principio di modernizzazione del costume. In questo senso le conseguenze più rilevanti, nel lungo periodo, del ’68 inteso in senso lato possono oggi essere considerate quelle che si manifestarono in modo dirompente nel movimento di emancipazione femminile, di poco successivo (risale agli anni ’70): in sintesi, le donne allora hanno cominciato a diventare protagoniste della vita collettiva nei paesi occidentali, e questo è un fatto storico epocale. Il primo libro da segnalare intorno al lungo ’68 italiano sarà allora un testo appena uscito, scritto da un gruppo di donne di Genova, “La ragazza che ero, la riconosco. Schegge di autobiografie femministe”.

Ma l’aspetto più visibile del ’68 fu direttamente politico. Esso nasceva da una nuova sensibilità sociale (o forse nuova era solo la forma, mentre la sostanza era antica): la protesta contro le discriminazioni, la volontà di stare dalla parte dei più deboli, degli oppressi e degli emarginati. In questo senso il movimento del ‘68 fu anticipato da Lettera a una professoressa, lo splendido libro - splendido anche letterariamente - scritto da don Milani e dai suoi alunni di Barbiana: un testo che rivendicava l’accesso a una cultura superiore per i figli dei poveri, ma che fu spesso inteso all’incontrario. Da questa sensibilità derivava l’attenzione prioritaria rivolta alla classe operaia (qui si faceva sentire la tradizione marxista), in quanto classe oppressa che avrebbe potuto/dovuto esercitare una funzione dirigente per migliorare radicalmente il mondo; da qui la riscoperta di forme di organizzazione dal basso, di democrazia diretta, al di là della democrazia parlamentare di tipo occidentale, necessariamente basata sulla delega. Questa volontà di stare dalla parte degli ultimi aveva un immediato riscontro internazionale, con l‘appoggio alle lotte di liberazione nazionale (‘contro l’imperialismo’) in varie parti del mondo. Come si tradussero queste aspirazioni generose nella pratica politica? Per rispondere a questa domanda è prezioso un libro curato da Guido Crainz, Il sessantotto sequestrato. Cecoslovacchia, Polonia, Jugoslavia e dintorni, che combina due caratteristiche diverse. Anzitutto è una raccolta di materiali relativi al ’68 in quelli che allora erano impropriamente chiamati “paesi dell’Est” (impropriamente perché erano – sono - parte integrante dell’Europa centrale, la Mitteleuropa). Anche in questi paesi vi fu intorno al ’68 un grandioso movimento di rivendicazione di alcune libertà fondamentali, il tentativo di combinare il comunismo con la democrazia di tipo occidentale. Questo movimento fu dovunque, e particolarmente in Cecoslovacchia, duramente represso. Tutto questo è documentato nel libro di Crainz, che contiene, oltre a un prezioso saggio iniziale del curatore, L’Europa che non abbiamo capito (e a quello finale di Anna Bravo, Parigi/Praga: dalla differenza alla separazione) diversi contributi di studiosi dei “paesi dell’Est” particolarmente utili per capire lo sviluppo della situazione in quei paesi (penso per esempio ai brani di Jiři Pelikán, Zygmunt Bauman, Wlodek Goldkorn, Adam Michnik).  Ma c’è un secondo motivo di interesse del libro: e cioè l’analisi delle reazioni suscitate dal ’68 nei “paesi dell’Est” nelle riviste che erano l’organo di autocoscienza del nascente sessantotto italiano. La documentazione fornita da Crainz è impressionante: certo, si condannava l’intervento sovietico in Cecoslovacchia, si dichiarava sostegno al martirio di Jan Palach, lo studente di Praga che si bruciò vivo nel 1969 in piazza Venceslao a Praga in segno di protesta contro l’intervento sovietico, ma poi … critiche su critiche, che si possono riassumere così: i ‘paesi dell’Est’ in questo loro ’68 volevano la libertà, la democrazia, il pluralismo. Che errore, che illusione! In realtà, si diceva, la libertà noi la conosciamo bene, in Occidente, e questa libertà è funzionale a una “tolleranza repressiva” (Marcuse), è cioè funzionale al dominio del capitalismo, all’imperialismo ecc. Ci si chiede: come spiegare oggi questa chiusura di allora, che appare quasi incredibile? Io credo vada fatta risalire al prevalere del marxismo come “lingua franca” dell’intelligentsija occidentale nel secondo dopoguerra. Ora, se il marxismo presenta diverse caratteristiche intellettualmente stimolanti per quanto riguarda l’analisi sociale, su un complesso di questioni (come la “dittatura del proletariato”) e in generale sul piano della teoria politica è invece, a mio parere, non solo desolatamente povero concettualmente, ma anche pericoloso. Il risultato di questa impostazione era ed è la sistematica svalutazione delle cosiddette ‘libertà borghesi’, e questa svalutazione comporta una lacuna teorica fondamentale, il rifiuto della categoria di totalitarismo, che accomuna, molto più di quanto a prima vista non appaia, esperienze come il fascismo e il comunismo stalinista. L’adesione acritica al marxismo, l’incapacità di una revisione critica accurata e sistematica (anzi, il termine ‘revisionismo’ era utilizzato come un insulto!) fu l’errore capitale iniziale da cui derivarono, a mio parere, tutta una serie di conseguenze molto pesanti che segnarono negativamente l’esperienza dei ‘gruppetti’, cioè dei gruppi di estrema sinistra che si svilupparono in Italia nella seconda fase del lungo sessantotto. E oggi si può stabilire una distinzione netta tra coloro che questi limiti, sia pure tardivamente, hanno riconosciuto e quelli che invece non l’hanno mai fatto.

A proposito di ’68 nel mondo, un ultimo libro (in realtà, una serie di libri) vorrei segnalare, sulla Cina della cosiddetta rivoluzione culturale, che noi giovani 'contestatori' allora ammiravamo compattamente, almeno in Italia. Oggi noi sappiamo cosa essa fu: una delle più colossali truffe ideologiche del Novecento, una lotta di potere scatenata da Mao mobilitando milioni di studenti fanatizzati contro l’apparato di partito, in un movimento che pretendeva di fare tabula rasa quasi integralmente del passato e che rovinò per un decennio la Cina. Noi oggi lo sappiamo grazie a testimonianze di prima mano che sono filtrate nel corso degli anni dalla Cina. Una delle più attraenti proviene dai gialli di Qiu Xiaolong (si può partire dall’ultimo, Il poliziotto di Shanghai): sono libri affascinanti, pieni di curiosità e dettagli sulla grande civiltà-mondo cinese (oggi in corso di rapidissima trasformazione) in cui la cosiddetta ‘rivoluzione culturale cinese’ riemerge costantemente come incubo storico attraverso cui sono passati tutti i protagonisti.

w.m.

[La ragazza che ero, la riconosco. Schegge di autobiografie femministe, a cura di Silvia Neonato, Iacobelli editore, Genova, 2018]

[Guido Crainz, Il sessantotto sequestrato. Cecoslovacchia, Polonia, Jugoslavia e dintorni, Donzelli, Roma, 2018]

[Qiu Xiaolong, Il poliziotto di Shanghai, Marsilio, Venezia, 2017]


Walter Minella - l'autore di questa recensione - ha insegnato storia e filosofia nei Licei. Tra le sue pubblicazioni: Il dibattito sul dispotismo orientale. Cina, Russia e società arcaiche (1991). Ha tradotto il breve saggio di Varlam Tichonovič Šalamov, il grande testimone dei Gulag, Tavola di moltiplicazione per giovani poeti (2012), ha curato la pubblicazione del libro postumo di Pietro Prini, Ventisei secoli nel mondo dei filosofi (2015) e ha scritto la monografia Pietro Prini (2016).

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