Interpretare la Bibbia


KARL BARTH – ADOLF von HARNACK.,

Interpretare la Bibbia a cura di Fulvio Ferrario traduzione di Marco Ferrario

Claudiana Editrice, Torino, 2023 pp. 118

Tra i testi della teologia del Novecento, com’è noto, sono di rilievo per diffusione e soprattutto per qualità, due classici come: Resistenza e Resa. Lettere e altri scritti dal carcere, edito postumo, di Dietrich Bonhoeffer; ed il commentario, anzi i commentari a L’Epistola ai Romani, il (Römerbrief) di Karl Barth. Ancora una volta la Lettera ai Romani dell’apostolo Paolo (manualmente scritta da ‘Terzo’, Rm 16,22), ha segnato nella storia degli effetti la storia dell’interpretazione e della storia dei cristianesimi; puntualizzando momenti forti quali sono quelli tracciati nei secoli dai commentari di: Origene, Agostino, Tommaso d’Aquino, Lutero, Melantone, solo per citarne alcuni.

Il commentario barthiano fu pubblicato a Berna nel 1919 (poi ristampato nel 1963) ed in seconda edizione, completamente rifatto, nel 1922, e fu un successo notevole, seppur molto dibattuto.

Interpretare la Bibbia è una raccolta di saggi teologici che l’editrice Claudiana propone.

I protagonisti del confronto teologico sono appunto:

Karl Barth (1886-1968) ed Adolf von Harnack (1851-1930) due alfieri della storia del pensiero teologico. Per restare nella metafora scacchistica le loro ‘diagonali’ di pensiero continuano ancora oggi ad informare il pensiero teologico cristiano occidentale.

La tematica qui affrontata è quella della verità, in particolare della verità dell’interpretazione della Bibbia e di come leggerla. Niente di più, ma soprattutto niente di meno.

Per dare la cifra stilistica di quanto Karl Barth cerca ed afferma:

«Dove la fedeltà di Dio incontra la fede dell’uomo, ivi si rivela la sua giustizia. Ivi il giusto vivrà. Questo è il tema dell’Epistola ai Romani.» (p.17 del commentario barthiano edito in Italia da Feltrinelli*).

Il metodo storico-critico utilizzato per interpretare la Bibbia è messo a tema per essere delimitato da Barth.

«Egli continua ad assicurare che ne riconosce senz’altro il diritto ad esistere, anche se limitato e relativo. Resta solo da stabilire dove corra la linea di delimitazione; ed allora si dovrà dire che Barth l’ha ritirata notevolmente»

(in: H. ZAHRNT, Alle prese con Dio. La teologia protestante nel 20° secolo. Una storia, Queriniana, Brescia, 1969, 19762, p. 13, ed. originale, 1966).

Non si deve pensare che lo studio della storia nel suo curriculum teologico fosse materia del tutto accessoria per il pastore riformato Karl Barth.

Non lo era sia per il respiro, per così dire, famigliare, infatti il padre Fritz Barth (1856-1912), pastore, era stato docente di Storia della Chiesa antica e medievale all’Università di Berna; e non lo era sia per l’orizzonte in cui sarà collocata, successivamente, in tempi di bilanci autobiografici della sua opera teologica:

«Si tratta dello studio della storia della Chiesa, dello studio delle sue espressioni teoriche e pratiche della vita della Chiesa, delle sue confessioni di fede e dunque anche della sua teologia: cioè del cammino che la conoscenza cristiana, quale elemento fondamentale della vita della comunità, ha percorso dai giorni dei profeti e degli apostoli fino ai giorni nostri. È evidente che questa storia è su tutta la linea anche storia profana, storia del mondo, e che quindi va indagata allo stesso modo di questa. Ma è altrettanto evidente che essa è fetta di storia del mondo modellata su di un tema particolare, vale a dire dal messaggio biblico dal quale trae origine: è storia della fede, dell’incredulità, dell’eresia e della superstizione, è storia dell’annuncio e del rinnegamento di Gesù Cristo, delle deturpazioni e delle restaurazioni dell’Evangelo, dell’obbedienza che ad esso la cristianità ha prestato ma anche, apertamente o di nascosto, rifiutato. In vista di questa comunione dei santi e dei peccatori, in cui è inserita e deve inserirsi anche la comunità del nostro e di ogni tempo, pure la storia della Chiesa, dei dogmi e della teologia diventa necessariamente oggetto dello studio teologico.»,

(citazione da: Karl Barth, Introduzione alla Teologia Evangelica, a cura di Giampiero Bof, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Milano), 1990, p. 211. Testo, sia detto en passant, che meriterebbe una riedizione per una sua riproposizione. L’edizione originale fu edita a Zurigo nel 1962 e poi successivamente riveduta, con edizioni in diverse lingue. La prima edizione italiana uscì per i tipi di Bompiani, Milano, 1968, con traduzione di Emanuele Riverso).

Barth si chiederà:

«che cosa deve contenere la predicazione cristiana?»,

è proprio «per rispondere a una domanda come questa che si studia non solo l’esegesi e la teologia pratica, ma appunto la dogmatica. E per non trascurare la storia della Chiesa, dovrei aggiungere soltanto ch’essa ha un compito addirittura enciclopedico. Il suo onore è quello tutto speciale di doversi trovare, per così dire, di scena dappertutto, per cui anche nell’insegnamento cristiano essa deve avere il proprio spazio.»

(citazione da: K. BARTH, Dogmatica in sintesi, Città Nuova Editrice, 1969, p. 36, «lezioni tenute a Bonn nel castello semidiroccato dei Principi Elettori, un tempo imponente, dove in seguito si stabilì l’università», era l’estate del 1946).

Adolf Harnack, e dal 1914, von Harnack, teologo e storico delle religioni, professore di storia della Chiesa in più Università, tra le sue opere fu autore nel 1901 dello scritto Das Wesen des Christentums (in italiano, per citarne alcuni: L’Essenza del Cristianesimo, Queriniana, 1980, 20033, Storia del dogma, in 7 voll. ed. Paideia-Claudiana; Storia del dogma. Un compendio, ed. Claudiana, e Marcione. Il Vangelo del Dio straniero, Marietti 1820, 2007, dove Harnack sosteneva la tesi che il Dio dell’insegnamento mosaico non è il Dio di Gesù Cristo, tesi che non regge proprio al cuore della fede cristiana che non si può privare della sua imprescindibile radice ebraica).

Nella prefazione alla seconda edizione del Römerbrief, Barth condivide ed utilizza il termine fuorviante di ‘Tardo giudaismo’, che purtroppo sarà ulteriormente veicolato nella teologia accademica ancora per molti decenni. Su questo è necessario notare che:

«Ad un livello di teologia cristiana accademica occorre poi evitare di far cessare l’esistenza d’Israele con la nascita del cristianesimo, evitando quel pessimo termine: tardo giudaismo, sostituibile con il più corretto, ad esempio, di primo giudaismo», Maurizio Abbà, voce ‘Antisemitismo’, in: Graffiti di Pace. Novissimo Dizionario dalla Nonviolenza, «AlfaZeta», anno I, 1991, n. 10, pp. 9-10, qui 10; si veda anche Eric Noffke: “Spät Judentum (tardo giudaismo) in uso fino agli anni Settanta del XX secolo, negli anni ottanta si passa a Early Judaism (protogiudaismo) o Middle Judaism (mediogiudaismo, più adatta a evidenziare la sua collocazione tra l’epoca persiana e la divisione tra cristianesimo e giudaismo rabbinico): si abbandona il quadro di un giudaismo ingessato, legalista, privo dell’antico spirito profetico, a favore della rappresentazione di un giudaismo vitale, poliedrico, che ha dato vita a molti partiti religiosi e a una letteratura della Bibbia tanto vivace quanto multiforme, al punto che talvolta si è parlato di «giudaismi», al plurale.”, Eric Noffke, L’apocalittica giudaica. Uno status quaestionis, RivB LXIX, 2021, p. 7.

Harnack fu maestro venerato da Karl Barth fino a quando, era la sera del 4 agosto 1914, Harnack in persona redasse il proclama del Kaiser tedesco al popolo germanico ed il 3 ottobre dello stesso anno aderì, con altri intellettuali tedeschi di diverse discipline della scienza e della cultura. Il Manifest der Intellektuellen [Manifesto dei Intellettuali] composto da 93 esponenti della cultura e della scienza, a lanciare l’Aufruf an die Kulturwelt, [l’Appello al mondo colto], con l’obiettivo del tutto propagandistico di smentire le responsabilità della Germania di aver innescato la prima guerra mondiale e di cercare di smentire i crimini di guerra invece che risultano invece effettivamente perpetrati dall’esercito imperiale tedesco alla popolazione belga.

“Il manifesto dei 93 intellettuali mise in evidenza il fallimento del pensiero idealistico-borghese del XIX secolo. Molti di coloro che nella generazione seguente dovevano diventare guide del pensiero avevano provato questa sensazione; così Karl Jaspers, Paul Tillich, Emil Brunner ed anche Karl Barth. Ancora dopo 40 anni Barth ricorda:

«personalmente mi è rimasto impresso un giorno, al principio di agosto di quell’anno, come il dies ater, giorno in cui 93 intellettuali tedeschi presero posizione pubblicamente con un atto di fiducia nella politica di guerra dell’imperatore Guglielmo II e del suo consigliere, tra i quali, con mio terrore e sorpresa, dovetti scorgere anche i nomi di quasi tutti i miei maestri di teologia, fino a quel momento oggetto di venerazione e di fiducia. Con l’animo in preda alla confusione per il loro éthos, io mi accorsi che anche la loro etica e la loro dommatica, la loro esegesi biblica e la loro interpretazione della storia non le potevo più seguire. Notai che ad ogni modo, per me, la teologia del XIX secolo non aveva alcuna possibilità di sviluppo nel futuro»”.

(K.  BARTH, ‘Evangelische Theologie im 19. Jahrhundert’, in Teol. Studien, fasc. 49 (Zollikon-Zürich 1957) 6, citato in: H. ZAHRNT, Alle prese con Dio. La teologia protestante nel 20° secolo., p. 6).

L’introduzione di Fulvio Ferrario ad Interpretare la Bibbia: Critica storica ed esegesi teologica. Il dibattito tra Adolf von Harnack e Karl Barth, un secolo dopo, inquadra puntualmente il dibattito tra i due teologi, con prospettive annesse, cito, ad esempio, dalle pp. 33-34:

«Un’esegesi criticamente rigorosa, condotta in tutte per tutto con gli strumenti messi a disposizione dalla filologia e dalle scienze storiche; e al tempo stesso posta al servizio di un dialogo con il testo, che Bultmann tematizza con l’aiuto della filosofia esistenziale. In tale progetto, l’eredità critica cara a Harnack è pienamente raccolta e riletta in prospettiva ermeneutica. Nella seconda metà del Novecento, l’ermeneutica, con Gadamer ma non solo, ha aperto altri orizzonti, alla luce dei quali, tuttavia, la proposta di un’esegesi teologica non appare affatto obsoleta».

Per inciso: - per quanto riguarda il refuso, a p. 80 nota 18: anno «1525», invece dell’esatto ‘1925’, annoto che se «Il simbolo dà a pensare», (come affermato da Paul Ricœur, Morcelliana, Brescia, 2002), qui il refuso dà a pensare, nel duplice senso ricœuriano: ‘da pensare’, ‘su cui pensare’.

Il 1525 anno tragico in quanto bellicoso nel cuore dell’Europa. Schematizzando, la lezione di Martin Lutero sulla lettura della Bibbia fu riletta e dilatata (fu deformata?) nell’applicazione ad una guerra innescata dall’ermeneutica di Thomas Müntzer nella prassi, con versamenti violentemente tragici nella guerra dei contadini, i quali ai nobili avanzarono peraltro elementari richieste di giustizia sociale e di vita (richieste elementari come il poter disporre dell’acqua, ad esempio, richiesta presente, in particolare, nell’articolo 4 dei noti 12 articoli dei contadini della Foresta Nera, redatti da Sebastian Lotzer e Christoph Schappeler, di Memmingen. Richiesta che sarà anch’essa negata violentemente dai prìncipi) -.

Nel XXI secolo le controversie o le convergenze teologiche potranno essere non più dottrinali o solo dottrinali, ma con una spiccata caratterizzazione etica, con dei precedenti intrecciantesi per l’ermeneutica biblica libera ed imbrigliata al contempo:

“L’idea pericolosamente nuova, saldamente incastonata nel cuore della rivoluzione protestante, era che i cristiani hanno il diritto di interpretare la Bibbia da per se stessi.

Un’idea che però, alla fine, si rivelò un incontenibile focolaio di sviluppi che in pochi, a quell’epoca, avrebbero potuto anticipare o predire. I grandi sommovimenti degli inizi del sedicesimo secolo che oggi gli storici definiscono «la Riforma», fecero penetrare nella storia del cristianesimo, da un lato, un’idea pericolosamente nuova che ha dato origine a un livello senza precedenti di creatività e di progresso, provocando però, dall’altro lato, tensioni e dibattiti che, per loro stessa natura, sono probabilmente senza soluzione. Lo sviluppo del protestantesimo come grande forza religiosa mondiale è stato plasmato in maniera decisiva dalle tensioni creative scaturite da questo principio. “

(tratto da: - Alister E. McGRATH, La Riforma protestante e le sue idee sovversive. Una storia dal XVI secolo al XXI secolo, Traduzione di Roberto Cappato. Edizioni Gbu, Chieti, 2017, pp. 10-11).

Che fare? Una possibilità è ripartire con una riflessione sulla portata di due frasi teologiche, la prima di Barth, la seconda di Harnack:

-«ogni opera umana, e un libro teologico più di ogni altra, è solo lavoro preparatorio!» (K. Barth).

Rivelazione non è un concetto scientifico; la scienza non può sussumere sotto un’unica categoria il sentimento di Dio e la predicazione paradossale dei fondatori di religioni e dei profeti (e lo stesso vale per le esperienze religiose in generale), e nemmeno può dichiararli «rivelazione». Ma non vi è alcuna possibilità di intendere una «parola» di questo tipo in modo così «oggettivo» da mettere fuori causa il funzionamento del parlare, dell’ascoltare, dell’accogliere e del comprendere umani. Ho l’impressione che il professor Barth tenti proprio qualcosa del genere e che per questo chieda l’aiuto di una dialettica che ci conduce lungo un crinale invisibile tra il più assoluto scetticismo religioso e un ingenuo biblicismo - la più forzata elaborazione dell’esperienza e della fede cristiane! Ma poiché essa viene sempre di nuovo riproposta da secoli sotto nuove vesti, dal punto di vista individuale è del tutto giustificata e conseguentemente deve essere accolta con rispetto. Ma è essa in grado di costituire una comunità e sono forse giustificati i fendenti con i quali essa fa piazza pulita di tutto ciò che è diverso, presentandosi tuttavia come esperienza cristiana? E anche se chi vive la fede cristiana in questo modo e mai diversamente riuscisse a camminare su questo ponte di ghiaccio, vi sarebbe ancora posto, su tale ponte, anche solo per i suoi figli e i suoi amici? Non farebbe forse egli meglio, invece di imporre un rigido aut-aut, a riconoscere che egli suona il proprio strumento, ma che Dio ne ha anche altri?».

(A. von Harnack).

Barth, come sappiamo, ha poi rivisitato retrospettivamente il suo pensiero in maniera altamente significativa, si vedano, a proposito, i titoli:

Karl Barth, L’umanità di Dio. L’attualità del messaggio cristiano, edizione italiana a cura di Sergio Rostagno;

e Karl Barth, Come sono cambiato. Autobiografia, nuova edizione italiana, a cura di Fulvio Ferrario,

entrambi editi da Claudiana.

Per la loro importanza nella storia della teologia i due ‘alfieri’, spaziano in realtà come due ‘torri’, certo con mosse non sempre condivisibili, ma questo fa parte del gioco della ricerca interpretativa che continua incessante.

La teologia stessa oscilla, sempre scacchisticamente parlando, tra arrocchi solitamente apologetico-difensivi ed un muoversi invece nello spazio della realtà in una interazione ariosa ad ampio raggio.

Allora la scacchiera della vita resta, per dirla con un titolo di un libro di Pier Cesare Bori riferito ad un diverso contesto ermeneutico, il luogo de L’interpretazione infinita.

*Della prima edizione del Römerbrief, di cui ancora non c’è una traduzione in lingua italiana, (è solo disponibile la traduzione del commento all’importante cap. 13, a cura di Francesco Saverio Festa, con il titolo: Fede e Potere, Castelvecchi Editore, 2014).

La seconda edizione del commentario di Barth, fu interamente rifatta, le sue parole tratte dalla prefazione della seconda edizione: «presento il libro in una nuova rielaborazione nella quale, per dir così, della prima non è rimasta pietra su pietra.».

L’edizione italiana uscì a cura e tradotta in italiano, per i tipi di Feltrinelli, nel 1962 (e successive edizioni) dal teologo e pastore valdese Giovanni Miegge (1900-1961) nel 1949. (Per completezza occorre citare sempre di Karl Barth anche un terzo successivo lavoro al riguardo, il Breve commentario all’epistola ai Romani, del 1940/1941, ma pubblicato nel 1956, edizione italiana a cura di Maria Cristina Laurenzi, Editrice Queriniana, 1982).

Nel volume Interpretare la Bibbia: sono raccolte opportunamente la prefazione alla prima edizione (già presente nel volume a cura di G. Miegge) e le cinque prefazioni che si sono succedute per la seconda edizione, ed il carteggio Barth-Harnack. Una precedente traduzione italiana dei materiali è presente in: Jürgen Moltmann (a cura di), Le origini della teologia dialettica, edizione italiana a cura di Maria Cristina Laurenzi, Queriniana, Brescia, 1976. Non ha riscontro, il riferimento nella Premessa a Barth-Harnack, (a p.7) di una edizione nel 2022, in quanto la pubblicazione edita da Queriniana nel 1976, comprensiva della presentazione di ampie porzioni del dibattito suscitato dai commentari a Romani del Barth giovane, risulta attualmente esaurita.

La curatela de Interpretare la Bibbia è di Fulvio Ferrario, professore di teologia dogmatica e materie affini, alla Facoltà Valdese di Teologia di Roma. La sua dedica è a Giuseppe Lorizio docente ordinario di Teologia Fondamentale nella Facoltà di Teologia della Pontificia Università Lateranense: «al prof. Giuseppe Lorizio, all’alba di una nuova fase della vita … amico e interlocutore ecumenico, alla vigilia della sua emeritazione».

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Maurizio Abbà (Torino, 1960)
laureato in Materie Letterarie e in Teologia, è stato pastore della chiesa valdese. Coordina corsi in DAD di storia della teologia e teologia dell’arte all’Unitre di Pavia. Collabora con la rivista Rocca.
È Socio Ordinario ABI Associazione Biblica Italiana.
Tra le sue pubblicazioni:
Paolo De Benedetti – Maurizio Abbà, Anche Dio ha i suoi guai Dialogo sulla Genesi, a cura di Marco Chiappa, Il Margine, Trento, 2013.

 

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