Un libro autobiografico


Questa di Marta Ghezzi è una sorta di ‘autobiografia meditativa’, una memoria onesta e vivace del percorso di vita dell’autrice: dunque dei ‘fatti’ che le sono capitati, ma insieme e soprattutto delle scoperte, delle emozioni, delle riflessioni con cui li ha vissuti e li rivive oggi. Si tratta di una sorta di bilancio, che l’autrice, vicino alla soglia degli ottant’anni, stende della sua vita e che costituisce, a mio parere, una di quelle testimonianze di cui gli storici del futuro – storici del costume, delle mentalità, della vita quotidiana - dovranno tenere conto per rendersi conto del vissuto di una generazione. A chi interesserà sicuramente questo testo, a chi potrebbe interessare, a chi dovrebbe interessare? Interesserà sicuramente le amiche e gli amici (tra cui anch’io), o almeno i conoscenti, dell’autrice, che sono tanti. Perché in una piccola città come Pavia Marta è da circa cinquant’anni una presenza fissa, originale e chiaramente riconoscibile – dal suo esordio con il gruppo Contropotere legato alle Acli alla sua attività di Dirigente dei Servizi sociali del Comune alla sua collaborazione volontaria al quotidiano locale, tramite lettere che sono prese di posizione, denunce, sottolineature, meditazioni, alla sua militanza femminista - penso per esempio ai suoi elogi delle ‘donne nel mondo’, frutto dei suoi viaggi (Marta è una viaggiatrice instancabile!) pubblicati sulla rivista “Socrate al caffè”.

Il testo di Marta potrebbe interessare le giovani esponenti del movimento femminista, che qui si trovano confrontate con una ‘mamma’ o una ‘nonna’ spigliata, vivace e affettuosa. E’ molto importante per un gruppo riconoscere delle radici, delle testimonianze esemplari, delle figure di riferimento. E, per un movimento come quello femminista, che rappresenta una delle più importanti novità che il secondo Novecento ha lasciato al nostro secolo e a quelli futuri, è particolarmente importante questo scavo nel ‘regno delle madri’. Le pioniere del movimento nella vita quotidiana sono state donne come Marta, attraverso la cui testimonianza è possibile verificare attraverso quali strettoie si sia passati da una condizione di subordinazione istituzionale della donna fino alla liberazione che attualmente – almeno nel mondo occidentale - è in corso (ma i presupposti di questa rivoluzione, costituiti da un senso forte della dignità femminile e del dovere del lavoro come autoaffermazione ed emancipazione, erano ben chiari nella famiglia di Marta, come in molte altre famiglie italiane - a partire dalla figura austera e pudicamente affettuosa della mamma).

Infine, a chi dovrebbe interessare questo libro, a chi sarebbe veramente utile? A tanti giovani, credo, i quali trarrebbero grande giovamento dalla lettura di testimonianze come questa. Perché la ‘rivoluzione antropologica’ di cui parlava profeticamente Pasolini alcuni decenni fa ha compiuto, in questi cinquant’anni, enormi passi in avanti, che si possono riassumere così: rimozione del passato, presentificazione della vita ben simboleggiata dalla subcultura indotta dai nuovi social media in quanto plasmatori di una visione del mondo – subcultura che è cosa ben diversa da un’utilizzazione consapevole delle risorse comunicative veloci e agili di questi strumenti. Veramente, il mezzo è il messaggio, come aveva profeticamente intuito McLuhan - e, aggiungiamo, un messaggio tendenzialmente imperialista, cioè che implicitamente sopprime ogni altro messaggio alternativo. Un amico giornalista, anziano come me, mi diceva il suo sconcerto nel confrontarsi con alcuni suoi giovani colleghi che sembravano non conoscere alcuni passaggi fondamentali della storia italiana moderna. Ma se si rimuove il passato, se si tagliano le radici, si chiude la porta del futuro – o almeno di un futuro consapevolmente scelto, e non supinamente accettato. Per riprendere una delle immagini originarie della filosofia occidentale, ci si restringe in una caverna oscura in cui non filtra alcuna luce. Un mondo squallido e, per gli uomini e le donne della caverna, convinti che non esista alcun altro mondo, immutabile ed eterno. Ma, come è sempre stato, così anche oggi qualcuno riuscirà certo a tornare a ‘riveder le stelle’. Ed è per questo che la comunicazione di esperienze autentiche, pur nella loro parzialità, è così preziosa per tutti, ma particolarmente per i più giovani.

Il percorso di Marta è stato ed è tuttora mobile, variegato, con tante svolte ma con una fondamentale unità che si svela a uno sguardo retrospettivo. In esso si possono riconoscere la compresenza di continuità e discontinuità: scoperte, acquisizioni, rivelazioni ma anche errori, illusioni e delusioni. Rimane intatta, nonostante tutto, la volontà di andare avanti, di non smettere di pensare, di appassionarsi, di dare il proprio contributo, per piccolo che possa essere, per un futuro migliore. Marta non è mai caduta nella duplice trappola, del cinismo o della rassegnazione, che ha contrassegnato l’evoluzione umana di tanti esponenti della generazione dei baby boomers, i ‘sessantottini’. Nella testimonianza di Marta, un esemplare particolarmente squallido di questa involuzione è il suo primo amore: un giovane medico, militante dei gruppi extraparlamentari, che aveva fatto la scelta preferenziale dei poveri, diventando una sorta di ‘medico scalzo’ in una condotta di campagna. Con lui la nostra amica ha una lunga storia d’amore, che finisce quando il giovanotto ha una sorta di ‘deconversione’: decide di diventare ricco, si sposta dalla campagna nella grande città, induce Marta ad abortire e subito dopo la pianta. Questa duplice trappola, del cinismo o della rassegnazione, è forse ciò che, come generazione dei sessantottini, abbiamo lasciato in eredità alle generazioni successive? Certo, è cambiato completamente il contesto, la classe politica non è affatto migliorata, forse è persino peggiorata (figure come Aldo Moro ed Enrico Berlinguer non ci sono più), la desertificazione dei valori è proceduta, il sentimento di solitudine e di isolamento, insieme al nichilismo quotidiano, ha conquistato largo spazio … Ma non è questo il caso di Marta: la sua è una controtestimonianza, di coraggio, di vitalità, di generosità e di amore per la vita. Per questo il suo libro ha un valore di documento storico prezioso e possiede tante qualità. Ho già accennato a quella più importante, la passione per la vita. Ne indicherò un’altra: l’assoluta onestà intellettuale. Questo libro è una specie di confessione che l’autrice ha il coraggio di svolgere in pubblico, fin sulle vicende più private. E’ questa specie di felice spudoratezza che rende così amabile il racconto di Marta: si può non convenire con lei, ma non si potrà mai metter in dubbio la sua sincerità, la sua buona fede. Marta può fare o aver fatto degli errori, può pensare o avere pensato, accanto a cose profonde e giuste, delle sciocchezze, ma lo fa o lo ha fatto in buona fede, con assoluta sincerità. E infine, la generosità (Marta, lo sanno i suoi amici, è una donna molto generosa): è questo l’elemento che stempera il suo evidente narcisismo e lo trasmuta in una sorta di slancio vitale, di apertura, di curiosità, di gusto della vita. Il percorso di Marta è per certi versi esemplare: da un’infanzia cattolica comune a tanti di noi, alla frequentazione adolescenziale dei gruppi da cui sarebbe nata Comunione e Liberazione al trasferimento a Roma, a contatto con i fermenti più vivaci del cattolicesimo italiano al tempo del Concilio Vaticano II, al passaggio a Pavia, all’incontro con il Movimento studentesco, allo strappo con il cattolicesimo, alla rivoluzione sessuale, alla scelta di un inserimento nell’Istituzione, alle letture molteplici, anche disordinate ma sempre compiute in uno spirito di autentica ricerca, al matrimonio tardivo e alla cura del marito malato, alla riconciliazione con la madre, sempre molto amata ma ’dialetticamente’, alla riscoperta attuale della spiritualità e di un cristianesimo non fossilizzato ma aperto, vivo, non contrapposto, per esempio, alla militanza femminista e internazionalista … E’ un percorso molto personale ma anche, per certi aspetti, tipico di una generazione (i lettori di una certa età riconosceranno senz’altro ‘un’aria di famiglia’ nel racconto dell’autrice). Soprattutto, non è la testimonianza di una persona chiusa, rassegnata e stanca ma il resoconto autobiografico di una donna che mantiene alla sua età la curiosità, la disponibilità umana, il coraggio di fronte alla vita di un’adolescente: una tarda adolescente o, come disse con una felice battuta il Sindaco di Pavia Andrea Albergati al momento del pensionamento di Marta, ‘una donna fuori dal comune’ (più che ‘fuori dal Comune’). Questa tarda adolescenza credo sia il modo in cui Marta è giunta alla maturità: e, come diceva Shakespeare, ripeness is all, ‘la maturità è tutto’. La raccolta di poesie alla fine del libro costituisce una specie di suggello meditativo che testimonia di questa raggiunta, ma insieme aperta, inquieta, mobile maturità.

Walter Minella


[Marta Ghezzi, Il tempo dei draghi, 2021, Fve Editori, Pavia-Milano]


Walter Minella - l'autore di questa recensione - ha diretto la rivista "Ulisse" e attualmente è il curatore della rubrica di recensioni della Biblioteca Bonetta di Pavia.

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