Un grande romanzo contemporaneo sulla Russia del Novecento


«Il nuovo romanzo di Pasternak s’intitolava Il dottor Živago. Già le prime pagine … colpirono profondamente Viktor Jul’evic. Era la continuazione di quella letteratura russa che credeva completamente conclusa, perfetta e onnicomprensiva. E invece, si scopriva che quella letteratura aveva dato un nuovo pollone. Ogni riga del romanzo parlava della stessa cosa: delle traversie dell’anima umana entro i confini di questo mondo, della crescita della persona, della morte fisica e della vittoria morale, insomma della ‘creazione e dono dei miracoli’ della vita» (pp.109-110).

Queste le impressioni che un personaggio del romanzo di Ludmila Ulitskaja, “Una storia russa”, prova alla lettura (clandestina) del Dottor Živago. Leggendo il libro della Ulitskaja, che secondo me non è lontano dalle vette raggiunte da un Pasternak o da un Vasilij Grossman, io ho avuto lo stesso tipo di impressione. Purtroppo non molto condivisa in Italia: il romanzo, uscito nel 2010 e tradotto nella nostra lingua nel 2016, non ha riscosso da noi l’attenzione e il successo che avrebbe meritato. Forse siamo troppo abituati ai libri spazzatura di cui sono piene le librerie italiane? In ogni caso, mi permetto di consigliarlo caldamente: credo che un lettore attento non riuscirà a staccarsene fin quando non lo avrà finito.

Ludmila Ulitskaja (o Ulickaja, altra traslitterazione possibile del suo cognome: in quest’ultima variante sono stati pubblicati in italiano alcuni romanzi) è probabilmente il più grande scrittore russo vivente. In lei rivive tanto la meravigliosa tradizione della letteratura russa dell’Ottocento e del primo Novecento quanto l’apporto alla cultura russa dell’ebraismo, a cui l’autrice appartiene per nascita, se non per religione (è cristiana). Questo grande libro, ambientato tra gli anni Cinquanta e gli anni Novanta del Novecento, è – come capita spesso nella letteratura russa – non solo una splendida opera d’arte ma anche un documento storico, la testimonianza di un tratto fondamentale e ricorrente della storia russa moderna: il contrasto tra l’intelligenza e il potere. Da una parte una intellettualità eccezionalmente aperta, inventiva, profonda e dall’altra un potere straordinariamente chiuso, ottuso, crudele, insomma dispotico (è questa tradizione del potere che segna la continuità fondamentale, pur con diversi gradi di intensità, tra lo zarismo e lo stalinismo di ieri e, in qualche misura, il putinismo di oggi).

Il romanzo è una documentazione di prima mano, dall’interno, di un fenomeno unico nella storia mondiale, tanto che il termine per designarlo non è stato mai tradotto: il cosiddetto samizdat, letteralmente l’autoedizione, ossia il fatto che, in un paese come l’Urss, dove ogni pubblicazione era rigidamente controllata dal potere, esisteva un circuito clandestino di lettori accaniti che trascrivevano, copiavano e facevano circolare le grandi opere dell’intellettualità creativa russa, proibite dal regime. (Gente disponibile ad andare in prigione per leggere e trascrivere testi di poesia, filosofia, religione! Sembra incredibile nell’Italia di oggi). La cultura, la creazione intellettuale, l’autonomia, l’indipendenza di giudizio e, soprattutto, il fascino della bellezza come forza di resistenza contro il regime totalitario, a partire dagli anni Cinquanta: questo è il contesto storico e morale del libro della Ulitskaja. Ma questa indicazione, pur vera, è poverissima rispetto alla ricchezza del romanzo, che è costituito da una serie affascinante di storie di vita che si dipanano e si intrecciano. I protagonisti principali sono tre ragazzi moscoviti, tutti e tre brillantemente dotati e che, trovatisi casualmente in una stessa classe all’inizio degli anni Cinquanta del secolo scorso, stringono un’amicizia che durerà tutta la vita : Micha il poeta, Il’ja il fotografo, Sanja il musicologo. Dagli incontri vitali dei tre protagonisti originari nasce per gemmazione la potente descrizione di altri personaggi o di nuove situazioni: è come un fuoco d’artificio che, quando sembra stia per finire, esplode in altri fuochi. L’autrice procede solo in parte cronologicamente: ci sono anche ritorni all’indietro, riprese del racconto dal punto di vista di altri personaggi, flashback, meditazioni, teorie musicali, analisi sociologiche, episodi di vita, sogni … e l’amore nelle sue infinite forme. Insomma, questo romanzo epico dell’intelligentsija nell’epoca sovietica è costruito per racconti ravvicinati, tessere relativamente autonome di un mosaico che però confluiscono in un disegno generale. Impossibile dar conto di tutte le perle che vi si trovano. Ricorderò qui solo un breve passo di una conversazione a New York tra Liza, una pianista russa emigrata in Occidente, e Sanja, il suo amico musicologo: “Che cos’è l’Arietta dell’ultima sonata [di Beethoven, l’opera 111: l’Arietta è il tempo finale]? Nient’altro che l’ombra di un minuetto! Proprio l’ombra di un minuetto perdutosi lontano nei cieli, che tutt’al più può accompagnare la danza degli angeli. Se esistono. Non è più una danza, ma solo il suo simbolo, un geroglifico. Già oltre i confini della vita, fuori dal tempo, nell’incorporeità” (p.638).

Il libro si apre con la frase posta in epigrafe di una lettera di Boris Pasternak a Varlam Šalamov del 9 luglio 1952 (“Non si consoli con l’ingiustizia dei tempi. La loro ingiustizia non ci rende ancora giusti, non basta la loro disumanità a farci uomini solo in virtù del nostro dissenso”) e si chiude con una serata a New York a casa di Brodskij, il poeta russo dissidente insignito del premio Nobel della letteratura nel 1987 (l’ultima frase del libro è questa: “Era l’una passata del 28 gennaio 1996. Quella notte il poeta morì”). Come si può intuire anche solo da questi riferimenti iniziali e finali a tre vertici della cultura russa e mondiale del Novecento, il libro è fitto di citazioni letterarie, dirette (in questo caso le fonti vengono indicate in nota dalla traduttrice, Emanuela Guercetti) o indirette. E’ probabile che il lettore italiano non le conosca tutte, o anche che non ne conosca alcuna. Non importa. Basta che si faccia prendere dalla piena del racconto e, credo, uscirà da questo viaggio intellettuale rinfrancato e, forse, migliore.

Per chi non sappia nulla della persecuzione del regime sovietico nei confronti dei più alti poeti russi del Novecento può essere utile il libretto di Pierluigi Battista, Il senso di colpa del dottor Živago. Particolare attenzione viene prestata alla figura di Pasternak, tanto libero e grande come poeta e narratore quanto servile, insicuro e amletico come uomo – fino a quella liberazione interiore che fu per lui la scrittura del Dottor Živago, pubblicato per la prima volta in Italia da Feltrinelli nel 1957 (dopo innumerevoli traversie, qui puntualmente ricordate). Lo scrittore stese con esso un vero e proprio bilancio, di straordinaria, sofferta intensità, della propria vita e della propria epoca. Per questo il romanzo fu così osteggiato dal potere, che amava la menzogna (il ‘realismo socialista’) e rimase proibito in Russia fino al 1989. Pierluigi Battista si sofferma in particolare sulla figura di Olga Ivinskaja, l’ispiratrice del personaggio di Lara nel Dottor Živago: fu lei il grande amore di Pasternak, e il regime le fece pagare duramente questa relazione con anni e anni di Gulag. Pasternak peraltro non ruppe mai con la seconda moglie, Zinaida, da lui conquistata strappandola al primo marito. Una curiosità: il nome del marito è citato da Battista come Genrikh Nejgauz. Ora, nel traslitterare i nomi tedeschi, il russo trasforma la H in G (per esempio Hegel diventa Gegel) ecc. Nel passare dall’alfabeto cirillico a quello latino, se il nome citato è occidentale bisognerebbe risalire alla fonte, non riportare la traslitterazione occidentale della traslitterazione russa. In questo caso risulterebbe che in realtà si trattava di Heinrich Neuhaus (1888-1964), forse il massimo pianista russo della prima parte del Novecento, il maestro di Richter, Gilels e Lupu. Tornando al libro di Battista, opera di divulgazione giornalistica ricca di aneddoti, particolarmente utili sono le pagine 90-94, che contengono una ricca bibliografia italiana.

w.m.

[Ludmila ULITSKAJA, Una storia russa, traduzione di Emanuela Guercetti, Bompiani, Milano 2016, 644 pagine, 25 euro]

[Pierluigi BATTISTA, Il senso di colpa del dottor Živago, La nave di Teseo, Milano 2018, 94 pagine, 8 euro]

 


Walter Minella - l'autore di questa recensione - ha insegnato storia e filosofia nei Licei. Tra le sue pubblicazioni: Il dibattito sul dispotismo orientale. Cina, Russia e società arcaiche (1991). Ha tradotto il breve saggio di Varlam Tichonovič Šalamov, il grande testimone dei Gulag, Tavola di moltiplicazione per giovani poeti (2012), ha curato la pubblicazione del libro postumo di Pietro Prini, Ventisei secoli nel mondo dei filosofi (2015) e ha scritto la monografia Pietro Prini (2016).

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