Tre libri sulla saggezza del vivere


Alcuni libri mi piacciono tanto che – non mi capita spesso - mi sento costretto a centellinarli: non li voglio finire subito, me ne riservo qualche parte per i giorni successivi. Così è successo nel caso di questo romanzo di Alice Cappagli, Niente caffè per Spinoza. La trama è molto semplice. Maria Vittoria, l’io narrante, vive a Livorno: trentacinquenne, è stata licenziata, ha un marito squallido, che non ama e che non la ama, una suocera orribile, un cane (in realtà, il cane della suocera, Barolo, da lei accudito e ribattezzato Aceto), niente figli. Trovare lavoro è per lei una necessità vitale. Per un colpo di fortuna, lo trova come collaboratrice domestica nella casa di un vecchio professore di filosofia di Liceo, cieco e ammalato, che, oltre ad aver bisogno di qualcuno che gli tenga in ordine la casa, ha una curiosa esigenza: gli serve qualcuno che gli legga libri, o meglio passi di libri, di filosofia. Il professore sa dove si trovano questi libri nella sua libreria, indica con precisione il posto nello scaffale, il capitolo o il passo. Evidentemente li conosce molto bene, gli sono familiari, ma vuole sentirli ripetere – per sé, anzitutto. E poi per gli altri, per gli amici a cui ha l’abitudine di regalare copie dei testi preferiti. E infine per Maria Vittoria, l’aiutante di casa, che diventa anch’essa un’amica e che segue con partecipazione il lento declino del suo datore di lavoro, diventato alla fine, un po’ per volta, il suo maestro. Nel corso del libro a poco a poco la vita di Maria Vittoria cambia: lascia il marito squallido, trova un nuovo appartamento, incontra un altro uomo … Forse anche grazie all’aiuto di quei libri preziosi? Da Epitteto a Pascal, da Spinoza a sant’Agostino, da Epicuro a Schopenhauer, si succedono pensieri profondi, che aiutano a vivere bene - e anche a morire bene.

La storia è ambientata nello splendore di Livorno: non ci sono mai stato, conosco questa città soltanto dalla memoria elegiaca di Caproni, nelle meravigliose poesie dedicate alla madre, e da Ovo sodo di Virzì, un film brillante e tenero. Eppure le descrizioni di Livorno contenute nel libro me la rendono meravigliosa. Forse questo romanzo mi è piaciuto così tanto perché io ho insegnato filosofia per una vita e quindi mi sono un po’ identificato con la figura del vecchio professore? Può darsi: ma il libro era piaciuto prima a due amici – una ex dirigente comunale, un giovane medico – che me l’hanno consigliato. E allora, mi dico, può piacere a tutti: purché esista il presupposto minimo di attenzione e disponibilità che la lettura di un romanzo richiede. La scrittrice, ci dice il risvolto di copertina, suona il violoncello nell’orchestra della Scala di Milano. E questo libro – che in fondo è un libro sulla trasmissione della saggezza di vivere – mi pare risenta profondamente della musicalità dell’autrice.

Continuando il cammino alla ricerca di libri che definirò ‘biofili’ (amici della vita) indicherò la raccolta di haiku di Massimo Pomi, Stagioni. Gli haiku sono un genere di poesia meditativa giapponese: tre versi, un’impressione… La struttura dell’haiku costringe a una concentrazione estrema: si mette a fuoco qualcosa – una pianta, un fiore, un uccello, una nuvola, la pioggia… – di fronte a cui normalmente passiamo senza che attragga la nostra attenzione, distratti come siamo dai nostri pensieri o dalle nostre occupazioni o preoccupazioni. Ed ecco il miracolo dell’haiku: rinunciare alle nostre precomprensioni, liberare l’animo, aprire la mente e il cuore al mondo della vita. Ascoltare nel silenzio interiore, guardare con attenzione e umiltà. E allora riaffiorano alla mente, focalizzate sul momento, suggestioni profonde, che pensavamo magari di aver dimenticato – dalla Bibbia ebraica a Leopardi, dal cardinale Newman alla citazione palese da Saba e da Gozzano a quella nascosta da Montale (Così la vita/un passo dopo l’altro./ Ecco: il varco!), dai poeti mistici spagnoli (e forse non a caso alcuni testi sono scritti direttamente in castigliano) a Petrarca… Conoscevo Massimo Pomi come fine studioso di Aldo Capitini (il teorico italiano della non violenza): ammiro adesso questi haiku, testimoni del miracolo dell’immediatezza densa di profondità.

Il libro di Chadra Livia Candiani Il silenzio è cosa viva. L’arte della meditazione nasce da una triplice esperienza dell’autrice: come maestra della pratica della consapevolezza (meditazione), traduttrice di testi buddhisti e poetessa in proprio. E’ difficile, anzi impossibile, dare conto in breve della freschezza dello sguardo e della pluralità di sollecitazioni, riflessioni, spunti che vengono qui proposti. Ti viene voglia di ricordare un passo profondo, una citazione intelligente, un suggerimento pertinente su come affrontare la paura o l’angoscia, tramite la concentrazione sul respiro: ma sono troppi per una breve segnalazione. Faccio una sola eccezione, l’inizio del passo di David Forster Wallace riportato a pp. 35-36: “Ecco un’altra cosa vera. Nelle trincee quotidiane della vita da adulti l’ateismo è impossibile. Non venerare è impossibile. Tutti venerano qualcosa. L’unica scelta che abbiamo è che cosa venerare…”: nasce da qui una splendida meditazione del grande scrittore statunitense, che l’autrice riporta.

Qualche riga del libro servirà forse a rendere il clima di questo testo insieme profondo e amichevole per il lettore: “Fa parte della pratica di meditazione buddhista non separare i mondi, non dividere quello che consideriamo spirituale da quello che riteniamo ordinario, così i gesti quotidiani di cucinare, lavare i piatti, telefonare, pulire, lavarsi, leggere, scrivere possono diventare forme di preghiera, nel senso di contatto con il silenzio, con la trascendenza: sono semplici gesti, sono solo quello che sono, eppure … Avere in casa un luogo della meditazione accende la consapevolezza più spesso; c’è un silenzio pieno, vitale, felice che da lì dilaga e ricorda che il momento giusto è ora. Ti sveglia a praticare, proprio in quel momento, il saper di essere viva e aprirsi al suo mistero. Un bambino egiziano di dieci anni, in uno dei laboratori di poesia che tengo nelle scuole elementari, ha scritto:

‘Il silenzio è l’allegria / Rastrellata dal nostro corpo’.

Un tempo, tenevo la porta della stanza di meditazione chiusa, era un tempo in cui pensavo ancora di dover proteggere la (mia) interiorità, il silenzio, la pratica della meditazione, come se dovessi preservarli dal resto della vita… Col tempo, ho sentito che la porta chiusa non solo preservava, ma anche separava, escludeva, interrompeva un flusso. E l’ho lasciata sempre aperta, si è creata una corrente tra la vita delle altre stanze e quella stanza vuota e silenziosa. Si sono arricchiti entrambi gli spazi, credo” (pp..14-16).

A me, leggendo queste pagine di ispirazione buddhista, è venuto in mente il detto di Gesù, “Se non diventerete come bambini non vedrete il regno dei cieli”: a conferma del fatto che le grandi tradizioni di sapienza, nei loro punti alti, tendono a ravvicinarsi. Sono come sentieri che risalgono da versanti diversi una montagna altissima: chi rimane alla base nota le distanze, chi si avvicina al vertice (che rimarrà sempre coperto di nuvole) percepisce invece le vicinanze.

w.m.

[Alice CAPPAGLI, Niente caffè per Spinoza, Einaudi, Torino 2019, pp. 273, euro 17,50]

[Massimo POMI, Stagioni. Haiku, Città del Sole Edizioni, Reggio Calabria 2019, pp. 85, euro 10]

[Chandra Livia CANDIANI, Il silenzio è cosa viva. L’arte della meditazione, Einaudi, Torino 2018, pp.162, euro 12]


Walter Minella - l'autore di questa recensione - ha insegnato storia e filosofia nei Licei. Tra le sue pubblicazioni: Il dibattito sul dispotismo orientale. Cina, Russia e società arcaiche (1991). Ha tradotto il breve saggio di Varlam Tichonovič Šalamov, il grande testimone dei Gulag, Tavola di moltiplicazione per giovani poeti (2012), ha curato la pubblicazione del libro postumo di Pietro Prini, Ventisei secoli nel mondo dei filosofi (2015) e ha scritto la monografia Pietro Prini (2016).

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