Fernando Aramburu, Patria


Questo romanzo dello scrittore di origine basca Fernando Aramburu, Patria, dopo aver avuto un largo e meritato successo in Spagna, è stato insignito del premio Strega Internazionale 2018. Protagoniste del libro sono due famiglie di un villaggio basco, la cui normale vita quotidiana viene travolta da una specie di piena, la follia ideologica del nazionalismo basco dell’Eta, che scoppia tra gli anni Ottanta del Novecento e il Duemila circa e che finisce per assassinare, oltre ad esponenti dei ‘nemici spagnoli’, anche alcuni degli stessi baschi che non appaiono sufficientemente devoti alla causa. Tra queste vittime innocenti del terrorismo è anche il capo di una delle due famiglie, un imprenditore di origine popolare che intuisce solo vagamente il pericolo della follia ideologica. Il suo assassinio spacca in due la storia narrata nel libro: c’è un prima e un dopo per ciascuno dei componenti delle due famiglie e, si direbbe, per il villaggio in cui vivono. Grande è la delicatezza dell’autore nel descrivere, nelle sue diverse e cangianti sfumature, le reazioni e l’evoluzione psicologica delle diverse persone coprotagoniste della vicenda. Non c’è acrimonia nel suo sguardo, non c’è antipatia o malevolenza, anche rispetto a personaggi che palesemente sbagliano (p.es. il terrorista): prevale invece la comprensione della potenza, e insieme della irrazionalità, della tragedia da cui gli assassini sono travolti insieme con le vittime. Persino il parroco del paesino basco in cui si svolge la vicenda (“un uomo dall’alito pestilenziale”) esercita la sua missione praticando un doppio gioco ‘politico’: amore per tutti, nella predicazione pubblica, e sostegno agli assassini dell’ETA, di nascosto (ma in modo tale che il paese sappia delle sue simpatie).

Certo, adesso che questa storia è finita e l’ETA ha ammesso i suoi crimini e ha chiesto scusa, è più facile una rappresentazione distaccata. Resta per noi il mistero e l’angoscia di fronte al contagio della stupidità che si tramuta in crimine: un virus che colpisce sempre nuovi strati di popolazione, soprattutto in un ambiente piccolo come un villaggio basco. Viene in mente il terrorismo italiano degli anni settanta, che forse è il più vicino al caso dell’ETA: una malattia della mente che ha travolto migliaia di persone e che alla fine è stata riconosciuta e debellata. (E, dietro a questo, torna alla memoria la potente, profetica visione delle dinamiche psicologiche del terrorismo nei Demoni di Dostoevskij).

Nel caso dei Paesi baschi esisteva realmente un elemento di diversità, ed era la lingua basca, che costituisce una delle pochissime lingue non indoeuropee parlate in Europa. Così come esistevano ancora i segni del feroce accentramento nazionalista, della repressione di ogni particolarità locale operata dal franchismo. Eppure questi elementi non sono sufficienti a spiegare il precipitare nella barbarie, in un periodo storico particolare, di una cultura e di una società fondamentalmente sane. Forse, uno dei significati nascosti del libro è mostrare come sia fragile la barriera della civiltà e come la barbarie sia una possibilità sempre presente, anche in società mature ed evolute. La storia dell’Europa, passata e presente, purtroppo dà una puntuale conferma di questa diagnosi allarmata.

w.m.

[Fernando Aramburu, Patria, Guanda, Parma, 2017]


Walter Minella - l'autore di questa recensione - ha insegnato storia e filosofia nei Licei. Tra le sue pubblicazioni: Il dibattito sul dispotismo orientale. Cina, Russia e società arcaiche (1991). Ha tradotto il breve saggio di Varlam Tichonovič Šalamov, il grande testimone dei Gulag, Tavola di moltiplicazione per giovani poeti (2012), ha curato la pubblicazione del libro postumo di Pietro Prini, Ventisei secoli nel mondo dei filosofi (2015) e ha scritto la monografia Pietro Prini (2016).

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