Paolo Mazzarello, L'elefante di Napoleone


Paolo Mazzarello possiede tre doti che è abbastanza facile incontrare separate, mentre è molto difficile trovarle insieme. Anzitutto una competenza scientifica di prima mano (è ordinario di Storia della medicina presso l’Università di Pavia). Poi una padronanza eccellente degli strumenti storiografici (già questa combinazione è piuttosto rara: gli storici sono prevalentemente umanisti, hanno raramente dimestichezza con il discorso scientifico). Infine, una scrittura semplice, chiara, accattivante, capace di rendere comprensibili e appassionanti vicende che altrimenti rimarrebbero nell’angolo o ai margini della storia (e purtroppo non tutti gli scienziati o gli storici posseggono questo dono prezioso). A seconda del prevalere dell’una o dell’altra di queste caratteristiche nascono le opere prevalentemente scientifiche di Mazzarello (p.es. le monografie su Camillo Golgi) o storico-scientifiche (p.es. L’erba della regina. Storia di un decotto miracoloso) o storico-narrative (p.es. Quattro ore nelle tenebre). Quest’ultimo libro, L’elefante di Napoleone, racchiude in modo equilibrato, mi pare, le tre componenti.

Il titolo si riferisce a un dettaglio curioso della storia universale, ossia al fatto che Napoleone donò la pelle impagliata di un elefante, appartenuto alla corte di Versailles, all’Università di Pavia, nel cui Museo di storia naturale è ancora oggi ospitata. Questo fatto, che potrebbe apparire come un mero dettaglio di cronaca, è invece analizzato accuratamente nell’opera di Mazzarello, che ne mostra le connessioni con il passato imperiale francese, da una parte, e dall’altra con la politica di Napoleone nei confronti del Regno d’Italia in generale, e in particolare dell’Università di Pavia e dei suoi più celebri scienziati, come Volta (da Napoleone molto ammirato). Questa vicenda dà anche la chiave del modo di procedere dell’autore: dal dettaglio, dal concreto, dal particolare si passa al generale, alla sintesi, alla visione d’insieme. In questa ottica, il ruolo degli elefanti nella storia occidentale è tutt’altro che trascurabile. Dopo un capitolo introduttivo sulle caratteristiche naturali dell’elefante indiano nel suo ambiente originario, sulle varie tattiche di cattura, di assoggettamento e di disciplinamento, sul suo ruolo nella mitologia indiana, sulle fantasie nel Medioevo occidentale a proposito di una sua supposta castità, sulla rappresentazione di questo animale nell’arte medioevale, l’autore passa a una esposizione sul ruolo degli elefanti nella storia militare dell’antichità, dal tempo delle guerre di Alessandro Magno alle guerre di Pirro alle lotte tra Cartaginesi e Romani. Ma l’elefante ritorna ancora nella storia occidentale, come simbolo esotico del potere: per esempio viene mandato in dono dal califfo Hārūn al-Rashīd (Hārūn il Giusto) a Carlo Magno, e questo è solo un caso di quella “diplomazia dell’elefante” che percorre la storia occidentale lungo tutto il Medioevo e la prima Età moderna (p.78).

Nella ricostruzione di Mazzarello non mancano riferimenti sintetici e puntuali a vicende della grande storia come il ruolo degli ebrei “radaniti” nella storia dell’Europa medioevale (pp.65-68) oppure il “commercio triangolare” tra Europa, Africa e Americhe (la merce più importante comprata e venduta erano gli esseri umani, ridotti in schiavitù in Africa, acquistati dagli europei in cambio di manufatti occidentali di basso valore, trasportati in America in condizioni orribili e lì barattati in cambio di prodotti coloniali come caffè e cotone) (pp. 90-91). Infine, dopo un accenno alle vicende del conflitto franco-inglese per il controllo imperiale dell’India, nell’esposizione di Mazzarello un ruolo particolare spetta a Jean-Baptiste Chevalier, un avventuriero francese, che, dopo la pace di Parigi del 1763, che sanciva di fatto l’egemonia inglese sull’India, fu nominato governatore di Chandannagar, una delle ultime roccaforti rimaste ai francesi in India. Chevalier cercò invano di attirare l’attenzione della corte di Versailles sulla importanza strategica mondiale del controllo dell’India: appunto inviando, dopo vari altri animali esotici, un elefante alla ménagerie (serraglio) di Versailles. Alla funzione simbolica della ménagerie nella strategia di consolidamento del potere assoluto e al ruolo dell’elefante nella ricerca naturalistica del tempo, in particolare nell’Histoire naturelle del grande Buffon, sono dedicate alcune acute considerazioni. Proprio l’elefante mandato da Chevalier a Versailles morì durante un tentativo di fuga: era quello le cui spoglie furono donate da Napoleone all’Università di Pavia.

Nella trattazione di Mazzarello, oltre a una curiosità storica onnivora e a una documentazione impeccabile, emerge un’autentica attenzione, e direi una sensibilità, verso i desideri e le sofferenze di questi giganteschi animali. Nulla di più lontano dall’immagine dell’animale-macchina, che a partire da Cartesio (prima metà del XVII° secolo) ha dominato per secoli nell’immaginario europeo (e forse è ancora oggi prevalente). Invece, una rappresentazione degli elefanti come esseri senzienti, capaci di affezione, di memoria, di dolore e di volontà di fuga: esseri con cui noi oggi sappiamo di avere qualcosa in comune, come con tutte le altre creature del mondo.

w.m.

[Paolo MAZZARELLO, L’elefante di Napoleone, Bompiani, Milano 2017, pp. 178, 13 euro]

 


Walter Minella - l'autore di questa recensione - ha insegnato storia e filosofia nei Licei. Tra le sue pubblicazioni: Il dibattito sul dispotismo orientale. Cina, Russia e società arcaiche (1991). Ha tradotto il breve saggio di Varlam Tichonovič Šalamov, il grande testimone dei Gulag, Tavola di moltiplicazione per giovani poeti (2012), ha curato la pubblicazione del libro postumo di Pietro Prini, Ventisei secoli nel mondo dei filosofi (2015) e ha scritto la monografia Pietro Prini (2016).

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