L’Occidente che ha perso il senso è una polveriera di rancore: "Serotonina" di Michel Houellebecq


Se i terroristi dell’Isis, oltre a essere dei criminali, non fossero anche degli analfabeti, potrebbero utilizzare egregiamente questo romanzo di Houellebecq (personalità da loro detestata e che sarebbero ben lieti di mettere a morte se appena potessero). Perché il ritratto della Francia, dell’Europa, dell’Occidente che lo scrittore fornisce è così desolante che lo potrebbero scambiare per una giustificazione del loro fascismo islamista. Leggi questo romanzo di Houellebecq e ti trovi in un livido, squallido Inferno quotidiano: non c’è speranza, non c’è amore, non c’è alcuna reale relazione tra le persone, al di là del sesso – che però, siccome non si accompagna all’amore, ma pretende di sostituirlo, si traduce in un sovrappiù di squallore che alla fine diventa insopportabile. Ne risulta un’angoscia sorda, molecolare, sommersa, veramente insopportabile: da qui il ricorso, da parte del protagonista del libro, alla ‘serotonina’, una sostanza che calma l’angoscia ma sopprime la libido, rende impotenti. Meglio così, per il protagonista del romanzo di Houellebecq. Perché una vita senza amore è una vita senza senso: e una vita senza senso è peggio di una vita colpita dal dolore (con questo in qualche modo si può anche combattere), è una vita ghiacciata, raggelata, priva di comunicazione, una vita che morde se stessa, chiusa in un piccolo girone infernale (se l’esistenza dell’Inferno è – sotto il profilo teologico - quanto meno dubbia, perché contrasta totalmente con la misericordia del Padre, l’inferno esistenziale è una esperienza che possiamo osservare ogni giorno, guardandoci attorno).

Lo sviluppo della trama fornisce alcune motivazioni di questa apatia che sono superficiali, ma anche per questo significative. Il protagonista del romanzo, Florent-Claude Labrouste, 46 anni, agronomo al ministero dell’Agricoltura, combatte una dura battaglia, da consulente delle istituzioni europee, contro la ‘globalizzazione’, cioè contro l’invasione di prodotti agricoli dal Terzo Mondo e a difesa delle tradizioni dell’agricoltura francese. Una battaglia destinata alla sconfitta: per il tradimento dei politici, è sottinteso, che seguono la chimera di un’Europa che non c’è e abbandonano la forza e la verità della nazione, la Francia, che è l’unica ad esserci. Questo tipo di contraddizione può sfociare in proteste di tipo populista (nel libro c’è un episodio, un conflitto tra gli agricoltori e le forze dell’ordine, che proprio da questa tensione ‘antiglobalista’ trae origine). Ma soprattutto può dar luogo a una specie di banalizzazione o semplicismo o di stereotipizzazione dello ‘straniero’, che è interessante in un autore colto e ovviamente plurilingue come Houellebecq: da qui, per esempio, le battute contro “gli olandesi”, “una razza di commercianti poliglotti e opportunisti” (p. 30) o contro Freud, “il buffone austriaco” (306) o contro Goethe, “quel vecchio imbecille di Goethe (l’umanista tedesco tendenza mediterranea, uno dei più patetici rimbambiti della letteratura mondiale)” (318). Ma questa sorta di crampo mentale sovranista non dà origine a un nazionalismo ‘affettivo’, ‘caldo’, affermativo e imperialista, insomma tradizionale: è un nazionalismo per così dire ‘freddo’, residuale, di difesa del passato e paura del futuro.

Ma questi possono essere considerati particolari. E’ lo squallore esistenziale del protagonista il tema di fondo su cui l’autore non si stanca di accumulare dettagli. Per esempio, a quando risale la decisione del protagonista di vivere da eremita ignoto in un albergo di Parigi? Alla scoperta di essere stato tradito dalla fidanzata giapponese. Ma questo non basta per Houellebecq, che ci deve raccontare come questa signora venga scoperta a soddisfare centinaia di uomini e alcuni cani. Eccetera.

Questo libro, scorrevole e insieme volutamente irritante, ribalta l’opinione corrente in Occidente sul proprio stile di vita. Tutti gli aspetti che generalmente vengono esaltati nella cultura di massa dell’Occidente post-moderno (il mito del divertimento, il narcisismo come canone, la liquefazione dei rapporti sociali, la mercificazione universale, la ipersessualizzazione) vengono qui ripresi dal punto di vista dell’effetto di ricaduta, cioè della difficoltà esistenziale. Vertice, sintesi ed epitome del tutto è, secondo Houellebecq, la perdita della speranza, che si manifesta nella forma di un eterno presente, privo di radici, di passato e quindi anche di futuro (mentre la forma autentica della presenza è un meraviglioso dono di Dio, o una suprema forma di coscienza mistica, la forma inautentica è un tentativo di sfuggire al tempo, e quindi a se stessi, e ha come sfondo e come prospettiva il vuoto, il non senso, la morte). Una diagnosi molto pessimistica, dunque, della realtà nell’Occidente contemporaneo. Io invece credo che Houellebecq abbia solo in parte ragione: questa è senz’altro la sua realtà, questi sono gli occhiali scuri con cui guarda il mondo, non è il mondo, che non è tutto e solo questo. Bisogna riconoscere che, nel rappresentare impietosamente questa realtà e questo sguardo, Houellebecq è senz’altro bravo: un grande scrittore, efficace, concreto, brillante, uno che si fa leggere anche irritando, ma facendo pensare. E’ l’erede di una grande tradizione letteraria, e te ne accorgi a ogni pagina. Forse il fatto che Huysmans, il decadente francese della seconda metà dell’Ottocento, poi convertitosi al cattolicesimo, sia un suo scrittore di culto, potrebbe anche far pensare che questa rappresentazione di un mondo orribile, pulito e ricco alla superficie ma terribilmente gelido, vuoto e desolato nel fondo, sia il riflesso di una desolata e implicita ricerca di Dio, come l’autore sembrerebbe accennare alla fine del libro. Oppure l’accenno finale è solo un espediente retorico.

Il titolo e il sottotitolo di questa scheda ricalcano quelli di un’eccellente recensione di Antonio Scurati su Tuttolibri del 12 gennaio 2019. Con una significativa trasformazione: laddove il titolista di Tuttolibri diceva “L’Occidente che ha perso il sesso è una polveriera di rancore” noi scriviamo: “L’Occidente che ha perso il senso è una polveriera di rancore”. Credo che questa seconda soluzione sia migliore perché inserisce le avventure e disavventure del povero Florent-Claude non in una crisi da andropausa che potrebbe averlo investito all’improvviso ma nel processo plurisecolare di laicizzazione che ha caratterizzato la modernità occidentale e il cui motto può essere il detto di Grozio, “anche se Dio non esistesse”, etsi Deus non daretur. Questo processo ha avuto numerosi aspetti di emancipazione, che non si possono misconoscere. Tuttavia oggi esso, lasciato a se stesso, senza una crescita della consapevolezza profonda della persona, alla fine rischia di devastare l’esistenza del soggetto, scatenandogli dentro un’angoscia che in ogni modo deve essere placata, costi quel che costi - anche, se necessario, a prezzo dell’impotenza. E questo è il caso di Florent-Claude, che ricorre alla “piccola compressa bianca, ovale, divisibile”, la serotonina, perché non vuole più sentire nulla, vuole raggiungere il prodigio che schiude la divina indifferenza, l’apatia: non vuole vivere più, cerca solo di sopravvivere. Il maestro di questa arte della fuga dalla vita è stato, nella cultura dell’Occidente, Arthur Schopenhauer, profondo genio filosofico, scrittore potente, lucido e appassionato: ma insieme il cattivo maestro per definizione, il diseducatore per eccellenza, colui che ha insegnato a odiare la vita (e le donne). Houellebecq è stato un fervente discepolo di Schopenhauer, e tale in sostanza rimane: se ne ha una conferma nel suo libretto In presenza di Schopenhauer, che può essere letto utilmente insieme a questo ultimo romanzo. E’ un’operetta in cui Houellebecq traduce e commenta, con lucidità e rigore, alcuni passi dell’opera fondamentale del filosofo di Danzica, Il mondo come volontà e rappresentazione. La lettura in parallelo di questi due testi di Houellebecq può essere utile perché il romanzo documenta, e insieme smaschera, con la forza della narrazione concreta, quella disgregazione dell’Io che la filosofia della negazione totale dell’essere aveva postulato come vertice della liberazione.

w.m.

[Michel HOUELLEBECQ, Serotonina, tr.it. di Vincenzo Vega, La nave di Teseo, Milano 2019]

[Michel HOUELLEBECQ, In presenza di Schopenhauer, tr.it. di Vincenzo Vega, La nave di Teseo, Milano 2017]


Walter Minella - l'autore di questa recensione - ha insegnato storia e filosofia nei Licei. Tra le sue pubblicazioni: Il dibattito sul dispotismo orientale. Cina, Russia e società arcaiche (1991). Ha tradotto il breve saggio di Varlam Tichonovič Šalamov, il grande testimone dei Gulag, Tavola di moltiplicazione per giovani poeti (2012), ha curato la pubblicazione del libro postumo di Pietro Prini, Ventisei secoli nel mondo dei filosofi (2015) e ha scritto la monografia Pietro Prini (2016).

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