Eroi, donne, potere tra vendetta e diritto nella Grecia arcaica dell'Odissea


Per Eva Cantarella, storica, giurista, antropologa, l’Odissea non si configura come il racconto delle avventure, delle esperienze, delle prove da superare di Ulisse, e Itaca non è la meta del viaggio, o la metafora, come per i poeti, di un cammino di libertà, di presa di coscienza del senso della vita.

Itaca è un luogo reale, è una delle tante piccole comunità esistite in terra greca tra il X e l’VIII sec. A.C., con i suoi abitanti, la sua agore (piazza) (p.11), il suo porto, le sue istituzioni, il suo basileus (re). E’ il prototipo di una comunità in trasformazione, una comunità che sta diventando una polis (città-stato). Itaca simboleggia la nascita del diritto, e non solo: è la testimonianza di una cultura, intesa nel senso più ampio del termine, che comprende le norme etiche e sociali, le credenze magiche e religiose, le regole del potere, la mentalità, i valori, la psicologia, il modo di vivere le emozioni. Questa prospettiva dell'autrice, differente da quella filosofico-letteraria, si basa sul presupposto che all'Odissea possa essere conferito il valore di documento storico di una civiltà. 

Si tratta di un presupposto che Cantarella argomenta in maniera esauriente, affrontando anche le problematiche connesse - ad esempio il rapporto fra l’epica orale e la scrittura alfabetica, o la datazione attendibile di fatti e situazioni. L'Odissea è l’insieme degli scritti che ci sono pervenuti sotto il nome di Omero, scritti che rimandano alla più antica narrazione orale, stratificata nel tempo: una narrazione che non può essere lo specchio di una società unica, compatta. L’argomento base di questa interpretazione è costituito principalmente dalla funzione della poesia epica nelle civiltà orali, ossia le civiltà nelle quali non esisteva ancora la scrittura alfabetica. E' una funzione importantissima: gli aedi e i rapsodi che percorrevano la Grecia, intrattenendo il loro uditorio con storie di dei e di eroi, di mostri, di maghe, di ninfe, di guerre e, al termine di queste, di lunghi, infiniti nostoi (ritorni), trasmettevano di generazione in generazione l’insieme di un patrimonio di cultura, da custodire e rispettare. Ascoltando i poeti, l’uditorio apprendeva i valori, i modelli da perseguire, i personaggi da ammirare, e con questi una vasta gamma di informazioni tecniche: dalle regole per l’arrivo e la partenza delle navi nei porti, a quelle per la costruzione delle zattere, o per lo svolgimento delle cerimonie funebri e dei riti sacrificali, e molto altro ancora. All’epos, dunque, era affidato un compito educativo.

Che all’Odissea possa essere attribuito il valore di documento storico è opinione ormai largamente condivisa dagli studiosi, fra i quali non può essere dimenticato il primo, forse il più famoso: Giambattista Vico, che ebbe a definire Omero il primo storico, il quale ci sia giunto di tutta la gentilità.

Poiché la narrazione epica non è riferibile a un unico periodo storico, ma rimanda a un quadro composito, ove si rintracciano echi di mondi più arcaici (come quelli dell’epoca micenea), si tratta di affrontare il problema della datazione storica degli eventi. La questione viene trattata dalla Cantarella proprio in quello che va costruendosi come l’impianto originale dell’opera, il suo scopo specifico: descrivere il divenire di una cultura, laddove la coesistenza di dati e modelli culturali diversi testimonia le trasformazioni in atto, dalle origini più remote di una comunità, sino alla nascita della polis. In un mondo in cui i valori di pietà, giustizia e collaborazione non hanno ancora fatto la loro comparsa, in un mondo in cui è la vendetta l’atto capace di restituire la considerazione sociale alla vittima e al suo gruppo, le qualità “culturalmente valutate” e “socialmente premiate” sono la capacità di imporsi con la forza fisica, con il coraggio, con la parola. E la bellezza: l’eroe è kalos kagathos (bello e valoroso) (p.25): forza e bellezza non devono separarsi, la bellezza deve essere il volto del valore. Il canto, diffondendo la fama di chi è all’altezza dei modelli, getta il discredito su chi non riesce ad adeguarvisi, ingenerando il senso della vergogna. E’ la Fama che conta, cioè l’"essere detti”: tra immagine ed emozioni, è l’opinione pubblica a svolgere un ruolo fondamentale nella costruzione dell’identità. Meritano un rilievo le osservazioni di tipo antropologico che riguardano il modo di vivere le emozioni. L’eroe piange, il pianto non è considerato segno di debolezza. La cultura omerica gli consente di piangere (purché le lacrime siano soprattutto di rabbia e di sdegno) e di dare sfogo al dolore, imponendo, quasi, all'eroe di manifestarlo in maniera enfatica, esagerata, plateale.

Perché tanti pretendenti alla mano di Penelope? E’ la questione che apre la seconda parte del saggio, dedicata ai fondamenti e alle articolazioni del potere. Il potere, la legittimazione del potere, è ciò a cui mirano principalmente i suoi pretendenti, gli arroganti, ingordi Proci, esempio di incontenibile hybris (arroganza e dismisura). Ecco Penelope in una luce inedita, differente dalla plurisecolare immagine di moglie incorruttibile e fedele, tra pianto e ambiguità: essa è portatrice della metis, ossia dell'intelligenza astuta attribuita tradizionalmente al marito. Attraverso le protagoniste femminili, Nausicaa, Circe, Calipso, le Sirene - le tentazioni di Ulisse - è possibile ricostruire la posizione sociale delle donne: una posizione di assoluta subalternità. Cantarella non manca di prendere in considerazione l’ipotesi dell’esistenza, in epoche ancor più remote, del matriarcato: un’ipotesi risolutamente respinta dall’autrice, sulla base delle testimonianze storiche esistenti.

A questo proposito vale la pena di fare un’osservazione. Testimonianze di valore storico non possono considerarsi esclusivamente i documenti scritti ai quali si fa riferimento, che consentono la rigorosa descrizione e le conclusioni fornite in rapporto all’epoca presa in esame. La moderna archeologia, con esponenti di livello internazionale (1) ha gettato una luce inedita sulla preistoria, consentendo, sulla base della sistematizzazione dei reperti, delle testimonianze della cultura materiale, dello studio delle opere d’arte, la ricostruzione di una civiltà raffinata, nella quale appare dominante una forma di spiritualità tutta al femminile. Ciò non dimostra l’esistenza del matriarcato, ma di una forma di culto, e si badi, non il culto della Grande Madre, simbolo di fertilità raffigurato dalle cosiddette Veneri 'steatopigie' (cioè con uno sviluppo ipertrofico delle masse adipose dei glutei e delle cosce) ma di quella che è definita la Grande Dea.

La terza parte del saggio contiene una complessità di argomenti, caratteristici di discipline quali l’antropologia culturale e l’etnopsicoterapia, che vengono affrontati dal punto di vista dello storico. Nel paragrafo “Per un’antropologia storica del soggetto” vengono descritte le trasformazioni dell’uomo arcaico: dalla etero-determinazione alla possibilità di auto-dirigersi, alla responsabilità morale, alla coscienza della libertà; la sopravvivenza dell’anima e la concezione dell’aldilà. Questi mutamenti accompagnano le trasformazioni del mondo arcaico ed esprimono la transizione a modelli diversi di cultura, attraverso un lungo travaglio che conduce all’apparizione di valori etici “moderni”: la comparsa di valori “collaborativi” accanto a quelli “competitivi”, la giustizia al posto della vendetta. 

Come l'autrice chiarisce nella premessa, questo denso saggio si presta a una duplice lettura: la prima, basata sul solo testo, per coloro che non possiedono competenze specialistiche; la seconda, che prevede la lettura delle note, dedicata agli specialisti e agli studenti. 


(1) Cfr. Marija Gimbutas, The Language of the Goddess. Unearthing the Hidden Symbols of Western Civilisation (1989), Il linguaggio della Dea. Mito e culto della Dea madre nell’Europa neolitica, tr. it. di Nicola Crocetti, Longanesi, Milano 1990.


g.m.

[Eva Cantarella, ITACA, Eroi, donne, potere tra vendetta e diritto, Feltrinelli Editore, Milano, 2014]


Grazia Mazzola è psicologa e psicoterapeuta. Socia Analista del Centro Italiano di Psicologia Analitica (C.I.P.A.), già Dirigente Psicologa presso il Dipartimento di Salute Mentale e Professore a Contratto – Università di Pavia. Socio Fondatore, Coordinatore e Docente dell’UNITRE di Pavia.
www.graziamazzola.it

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