Echi dei grandi romanzi russi e della letteratura ispanoamericana in "Arrivederci, signor Čajkovskij"


Ci sono luoghi in cui gli spazi reali e le rappresentazioni letterarie che gli scrittori hanno sovrapposto ad essi si sono fusi in un tutt’uno inscindibile: la Buenos Aires di Borges, per esempio, o la San Pietroburgo di Dostoevskij, la Lisbona di Pessoa... In un saggio del 1982, Claudio Magris definiva Trieste una città fatta di carta, poiché “Svevo, Saba, Slataper non sono tanto scrittori che nascono in essa e da essa, quanto scrittori che la generano e la creano, le danno un volto”. Ci sono dunque scrittori che con le loro opere contribuiscono a ridisegnare i contorni e la storia di un luogo, lo fanno rivivere su carta e anche nella realtà, rinnovato, trasformato.

Nelle pagine di Nostra Signora degli Scorpioni e di Arrivederci, signor Čajkovskij, entrambi editi da Sellerio (rispettivamente nel 2014 e nel 2019), Nicola Fantini e Laura Pariani ridanno vita a una delle possibili Orta Novarese di fine Ottocento, sosta gradita ai turisti stranieri del Grand Tour.

A soggiornare sulle rive del Cusio sono lo scrittore Fëdor Dostoevskij in Nostra Signora degli Scorpioni e il compositore citato nel titolo in Arrivederci, signor Čajkovskij. Ma il protagonista di entrambi i romanzi è il paesino di Orta San Giulio, all’epoca dei fatti Orta Novarese, e gli illustri ospiti russi sono la breccia che permette al lettore di accedere a quell’angolo semi sperduto del novello Regno d’Italia, dove, a dispetto di quanto credono alcuni turisti, nemmeno i morti si annoiano. Tanto che, in Arrivederci, signor Čajkovskij sono proprio “quelli delle Tenebre-di-mezzo” a narrare i tragici eventi che nel dicembre del 1878 portano nuovamente scompiglio nell’abitudinaria esistenza degli abitanti di Orta.

Anche le vicende di Nostra Signora degli Scorpioni, ambientate circa dieci anni prima, nell’autunno del 1869, si dipanavano, infatti, attorno a un efferato delitto. Nel più recente romanzo ritroviamo dunque molti dei personaggi che Fantini e Pariani ci avevano già presentato: chi cresciuto, chi invecchiato, chi passato a miglior vita, tutti, però, come allora invischiati in legami e consuetudini intorbiditi dal tempo, che solo gli strani vezzi dei forestieri di passaggio riescono, di tanto in tanto, a incrinare.

La presenza di Dostoevskij e quella di Čajkovskij sono, seppur marginali, intrinseche al narrato: come suggeriscono gli autori stessi, le vicende dei Fratelli Karamazov risuonano in Nostra Signora degli Scorpioni, mentre sottofondo dell’intera narrazione di Arrivederci, signor Čajkovskij è la sinfonia n. 4, il cui tema di apertura, che si riverbera poi in tutta la composizione, è il “Fato, che impedisce alle umane speranze di felicità di avverarsi” (p. 134), parafrasi di una delle tante lettere che Čajkovskij indirizzò alla baronessa von Meck, sua migliore amica e benefattrice, che Fantini e Pariani immaginano alloggiare in una villa sull’isola di San Giulio.

Allo stesso modo, un greve senso tragico apre e domina l’intero romanzo, che gli autori hanno orchestrato su un italiano straordinariamente leggiadro, qua e là interrotto da pizzicati di dialettalismi locali.

Nell’andamento misurato, nella ricchezza delle caratterizzazioni e soprattutto nella capacità di avventurarsi nel profondo del mai abbastanza conosciuto animo umano ­­­– “Ognuno di noi è peccatore e nel segreto della nostra decima anima nascondiamo desideri inconfessabili” (p. 135) – si ode l’eco dei grandi romanzi russi.

Ricorda, invece, i romanzi della letteratura ispanoamericana - in bilico tra realtà e magia - la rappresentazione di un mondo in cui vivi e morti convivono e interagiscono abitualmente, dove eccentrici personaggi hanno il “dono di vedere le creature che vengono dal buio” (p. 103) e sentono quando qualcosa di tremendo sta per accadere.

Servendosi anche di questi elementi magici, la coppia, nella vita e sulla carta, Fantini-Pariani tenta l’esplorazione di quel sentimento, già ampiamente scandagliato e cantato, che, senza una ragione, all’improvviso, può unire due persone: l’amore. È l’amore di coppia, con le sue infinite e imprevedibili manifestazioni ed esiti, il sentimento cardine del romanzo, che gli autori indagano attraverso le differenti esperienze dei personaggi femminili: c’è chi è stata volgarmente tradita e piange la sua sventura e chi muta la delusione in truce vendetta; chi s’è maritata con un uomo dell’età del padre e chi ostenta, soddisfatta e fiera, la propria condizione di donna separata; chi ricorda con dubbio affetto la buon’anima del marito e chi, in un matrimonio malsano, soccombe.

In un mondo dove il rapporto tra un uomo e una donna spesso assomigliava a “una trappola per topi: quelle che ne erano fuori volevano entrarci, quelle che ci stavano dentro agognavano uscirne” (p. 63), la relazione che univa Čajkovskij e la vedova von Meck, basata sulla comune passione per la musica ed espressa esclusivamente attraverso un quotidiano scambio epistolare e la solenne promessa di non incontrarsi mai, non poteva che apparire inevitabilmente incomprensibile e maliziosamente stravagante: “Era amore questo?”, si domanda la stessa von Meck.

Questa è una delle tante domande che il romanzo apre come varchi per addentrarsi nel profondo della psiche umana. “Nella letteratura – scriveva Magris – non contano le risposte date da uno scrittore, bensì le domande che egli pone e che sono sempre più ampie di ogni pur esauriente risposta”.

Nelle pagine di Arrivederci, signor Čajkovskij, Nicola Fantini e Laura Pariani ridanno dunque vita a una Orta Novarese vecchia di oltre un secolo, dove l’amore era un sentimento indefinibile “irto di ostacoli e spesso funesto” (p. 267), la gelosia poteva sfociare in vendette di irragionevole violenza, un uomo non poteva esprimere i propri sentimenti a un altro uomo e la “famiglia tradizionale” non esisteva nemmeno in fotografia.

Oggi, però, per quanto la Orta della saga Fantini-Pariani sia un luogo finzionale, di carta, percorrendo la salita della Motta, risulta inevitabile cercare, tra gli edifici che la delimitano, la casa che ospitò prima Dostoevskij e poi Čajkovskij.

f.p.

 

[Nicola FANTINI – Laura PARIANI, Arrivederci, signor Čajkovskij, Sellerio, Palermo 2019]


1- Angelo Ara, Claudio Magris, Trieste. Un'identità di frontiera, Torino, Einaudi, 1982.
2- Claudio Magris, Fuori i poeti dalla Repubblica? (1996), in Utopia e disincanto, Milano, Garzanti, 2016.


Federica Pastorino – autrice di questa recensione – è dottore di ricerca in Letterature Comparate Euro-americane e docente di spagnolo e di sostegno nelle scuole secondarie; ha insegnato come “cultrice della materia” letteratura italiana contemporanea presso la Facoltà di Lingue e letterature straniere dell’Università di Genova, è stata lettrice di manoscritti per l’Einaudi; tra le sue pubblicazioni: L’Argentina di Laura Pariani in “Otto/Novecento : rivista quadrimestrale di critica e storia letteraria”, anno XXX, n. 3, settembre/dicembre 2006.

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