"M. il figlio del secolo": un libro utile, anzi necessario, sulle origini del fascismo


Un romanzo come questo di Antonio Scurati, M. (che sta per Mussolini), oltre a essere letterariamente affascinante, è utile, anzi necessario. Perché l’ignoranza della storia è una caratteristica comune nell’Italia di oggi, tra i ragazzi e tra gli adulti. Ne sono una testimonianza gli strafalcioni di alcuni politici emergenti: per esempio uno era convinto che Napoleone avesse conseguito una schiacciante vittoria ad Auschwitz. E quindi è straordinariamente interessante un libro che rievoca la conquista del potere del fascismo, tra il 1919 e l’inizio del 1925, mese dopo mese, con ricchezza di particolari che riguardano non solo Mussolini, ma anche i suoi collaboratori, i suoi avversari e in genere la vita del Paese in quel periodo.

C’è di più. Questo libro può essere con profitto da tutti per lo stile decisamente amichevole verso il lettore: uno stile che unisce l’accuratezza dell’informazione storica al gusto per i dettagli significativi, per le zone di ombra che, accostate a quelle in piena luce, rendono vivace, mosso e vivo il quadro d’insieme, permettendo di capire meglio le vicende storiche, personali e collettive. Un esempio di questa pluralità di prospettive è dato dall’intersezione tra la vita pubblica dei personaggi di rilievo del periodo e la loro vita privata: da qui, per esempio, l’attenzione alle travagliate, e talvolta squallide, vicende sentimentali del Mussolini di allora, oppure alle intense e sofferte lettere scambiate tra Giacomo Matteotti (il deputato socialista ucciso nel 1924, che fu uno dei più lucidi e tenaci oppositori del fascismo) e la moglie. E’ questa ricchezza di elementi umani, situati in una rigorosa cornice storica, che costituisce l’originalità del libro.

E’ vero che esistono numerosissimi saggi interpretativi intorno alla natura del fascismo, molte ricostruzioni storiche delle vicende del primo dopoguerra che culminarono con la marcia su Roma del 1924, alcune pregevoli indagini sulla vita di Mussolini: anzitutto, la monumentale biografia in più volumi scritta da De Felice. Ma proprio i libri del nostro massimo biografo di Mussolini hanno una tale pesantezza accademica che il grande storico inglese Denis Mack Smith all’uscita di ogni nuovo volume diceva di sentire mal di stomaco: doveva leggerlo, ma sapeva di trovarsi di fronte a un ‘mattone’ difficile da digerire. Tutto il contrario del romanzo di Scurati, che presenta una struttura molto originale. Non è giornalismo storico, perché l’autore è superiore alla superficialità di giornalisti, anche brillanti, che si improvvisano storici (un nome per tutti: Montanelli). Non è un romanzo storico, in cui i grandi personaggi della storia siano presenti nello sfondo, perché il libro ha per argomento, sulla scorta di una precisa documentazione, persone ed eventi reali (anzitutto il personaggio Mussolini e il suo impatto sulla storia d’Italia dopo la prima guerra mondiale). Non appartiene alla ricerca storica in senso proprio, anzitutto per elementi esteriori: mancano quasi totalmente le note, i riferimenti bibliografici ecc. In compenso alla fine di ogni capitolo viene riportato un documento storico, magari di per sé marginale ma che acquista tutto il suo sapore nel contesto narrativo: per esempio, a pag. 61-62, il rapporto dell’ “ispettore generale di pubblica sicurezza” Giovanni Gasti su “Mussolini prof. Benito” datato giugno 1919, oppure, a pag. 138, uno stralcio dal programma del Partito socialista italiano approvato al Congresso di Bologna l’8 ottobre 1919, contenente una dissennata esaltazione della violenza rivoluzionaria che si ritorcerà presto contro i suoi sostenitori.

Forse il libro si avvicina agli intenti di un Truman Capote, (A sangue freddo), o di un Emmanuel Carrère (L’avversario), cioè a quella che si chiama biofiction (biografia finzionale), che ibrida l’invenzione romanzesca con la cronaca. Ma qui non si tratta di una storia individuale, sia pure sintomatica, e neanche solo della storia di un individuo indubbiamente importante, come fu Mussolini, ma di una serie di storie individuali che si compongono insieme a formare un mosaico dai colori vivaci che ci colpisce e ci fa riflettere. E’ impossibile qui anche solo accennare a tutti i temi del libro. Mi limiterò a ricordarne alcuni. Sullo sfondo dell’immane carneficina della prima guerra mondiale, vero principio del tramonto dell’Europa, nascono i movimenti, e anche le violenze, popolari del 1919 e del 1920, descritti fedelmente e che, con il senno di poi, possono essere compresi come lo sfogo di un popolo miserabile e oppresso, la reazione di chi era stato mandato al macello nella grande carneficina, che si era aggiunta come un sovrappiù di violenza rispetto alla brutale, ordinaria oppressione quotidiana. Come reazione a questa ondata di scioperi e di proteste popolari, si coagulano le violenze dei cosiddetti arditi: indimenticabili sono i ritratti dell’evoluzione nel tempo di alcuni dei più brutali di questi personaggi, incapaci di tornare alla normalità, di uscire dall’ubriacatura della violenza e del massacro che li aveva segnati per sempre - violenze e massacri nobilitati dall’ideologia nazionalista e imperialista, che verrà poi ripresa dal fascismo. In questo contesto si situano le storie individuali, anzitutto quella del protagonista, Mussolini (M.), che emerge per il suo talento di demagogo formato alla scuola del socialismo massimalista, da lui bruscamente abbandonato nel 1914 per schierarsi a favore della guerra, e di giornalista brillante e vigoroso: nel complesso un personaggio semicolto, capace delle più rozze semplificazioni (nel libro viene dato il giusto rilievo al dirozzamento operato dalla sua amante, Margherita Sarfatti) ma insieme intelligente, furbissimo, duttile, politicante dotato, in grado di compiere giravolte improvvise, cambiamenti di posizione a 180 gradi, sempre mirando alla meta finale, la presa del potere. E poi le storie, rese in modo vivo e brillante, di alcuni suoi collaboratori o seguaci (un esempio fra tutti: la figura di Dumini, il capo della banda che uccise Matteotti) e dei suoi avversari. In questa ricostruzione storica, che è anche uno sguardo retrospettivo, particolare rilievo acquistano, a mio parere giustamente, la figura di Turati, il capo storico del socialismo riformista le cui posizioni, qui opportunamente ricordate, ci appaiono oggi di una lucidità impressionante, oppure l’appassionata, coraggiosa, eroica figura di Matteotti. Invece l’atteggiamento dei capi massimalisti risulta, allo sguardo di oggi, terribilmente vacuo e parolaio: un insieme di minacce di violenza, di dichiarazioni di voler fare come in Russia, di rifiuto di ogni compromesso con la borghesia e una totale inettitudine all’azione, la mancanza di ogni preparazione, visto che tanto la rivoluzione sarebbe venuta lo stesso, necessariamente. Il segretario del Psi di allora (1919) Bombacci (che poi aderirà al fascismo e finirà appeso a piazzale Loreto) è descritto in modo straordinariamente vivo: una figura tra il grottesco, il patetico e il tragico. E ancora, le vicende della cosiddetta Repubblica del Carnaro, capeggiata dal retore D’Annunzio, il colossale abbaglio di Benedetto Croce, il più importante filosofo italiano del tempo, nel sottovalutare il significato duraturo di un movimento come quello fascista… Si potrebbe continuare. Gli stimoli intellettuali sono molteplici e in diverse direzioni. Ma è soprattutto la qualità dello sguardo, la ricchezza, il carattere vivido della narrazione, ciò che colpisce. Il libro consta di 839 pagine: assicuro che si leggono d’un fiato.

w.m.

[Antonio SCURATI, M. il figlio del secolo, Bompiani, Milano 2018, pp. 839, euro 24]


Walter Minella - l'autore di questa recensione - ha insegnato storia e filosofia nei Licei. Tra le sue pubblicazioni: Il dibattito sul dispotismo orientale. Cina, Russia e società arcaiche (1991). Ha tradotto il breve saggio di Varlam Tichonovič Šalamov, il grande testimone dei Gulag, Tavola di moltiplicazione per giovani poeti (2012), ha curato la pubblicazione del libro postumo di Pietro Prini, Ventisei secoli nel mondo dei filosofi (2015) e ha scritto la monografia Pietro Prini (2016).

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